Assorbenti e tamponi: rischio per ambiente e salute?

Ogni donna utilizza assorbenti e tamponi per tre-sette giorni al mese per un periodo di vita di circa trent’anni. Ogni bambino utilizza pannolini ogni giorno per circa uno-tre (a volte cinque) anni.

Le istituzioni hanno da sempre indagato poco sui rischi associati a questi prodotti, ne è testimone il fatto che molti reclami sono arrivati dalle associazioni di consumatori (quali la Women Voice of Earth, WVE) e da ricercatori che, negli anni ’90, chiesero ufficialmente all’NIH (National Institute of Health) di promuovere la ricerca a riguardo della salute femminile.

Gli assorbenti erano storicamente fatti da pezzi di stoffa assemblati (cosa che per altro avviene ancora oggi in molte parti del mondo) finché Johnson&Johnson nel 1896 commercializzò i primi assorbenti industriali, il cui design è mutato di poco, eccezion fatta per l’aggiunta di ali negli anni ’70, che sostituirono fermagli o fascette comunemente utilizzati dalle consumatrici per evitare dislocamenti. I materiali di cui sono costituiti sono evoluti verso prodotti super performanti.

Negli Stati Uniti gli assorbenti sono considerati un dispositivo medico e la FDA richiede ai manufatturieri di porre attenzione ai materiali e ai processi di sbiancamento, mentre in Europa le normative sono meno restrittive. Ftalati, diossina, mercurio, diversi pesticidi sono stati ritrovati, seppur in quantità insignificanti, nei prodotti costituenti assorbenti, tamponi (e di conseguenza anche nei pannolini per bambini, che condividono lo stesso processo produttivo).

Le dosi a cui ogni donna viene esposta sono minori rispetto a quelle considerate dannose, eppure poco si sa dei loro effetti in vivo (ovvero nella vita reale e non in laboratorio), soprattutto se l’esposizione avviene attraverso la zona genitale che è altamente recettiva ad ogni sostanza e per un periodo di anni lunghissimo: molti scienziati invocano l’effetto cumulativo di tali sostanze, che, se sommate ad un’esposizione prolungata, quotidiana e multifattoriale (creme, lozioni, profumi per ambiente, mobilia domestica, prodotti per la pulizia della casa, inquinamento ambientale) potrebbero creare problemi invisibili ma reali, quali tumori o infertilità.

Uno studio ha notato una maggiore concentrazione di mercurio nel sangue delle signore che utilizzavano tamponi, probabilmente relato all’assorbimento per via vaginale: i valori non sono comunque statisticamente significativi, ma gli autori pongono l’accento su come molte sostanze presenti nei prodotti femminili non vengano studiate, proprio quando la via vaginale è una via preferenziale per l’assorbimento di sostanze (anche di farmaci) e l’esposizione sia prolungata se consideriamo l’esteso uso che una donna fa di assorbenti e tamponi nel corso della sua vita. Sostanze come toluene, xilene sono state ritrovate negli assorbenti, ma in tracce e con enormi differenze tra una marca e l’altra. Ftalati sono stati ritrovati nello strato esterno degli assorbenti e questi portano a riflettere quando si parla di pannolini per bambini: assorbiti velocemente dallo scroto entrano in circolo e possono causare alterazioni dello sviluppo dell’apparato riproduttivo e urinario (parliamo a livello teorico, perché nessuno studio lo ha mai dimostrato). Un recentissimo studio coreano mostra che la presenza di composti volatili nei materiali costituenti gli assorbenti attualmente in circolazione risulti in un rischio carcinogenico nullo.

Quindi possiamo dedurre che questi prodotti siano sicuri nonostante le evidenze di microcontaminazioni esistenti in numerose marche presenti sul mercato mondiale?

O forse, occorre anche pensare alla biostenibilità dei materiali e dei processi industriali con cui si fabbricano gli assorbenti (siano essi per donne, bambini o anziani incontinenti).

Questo perché i materiali determinano un costo per la salute, basta ricordare quando nel 1979 i manufatturieri sostituirono lo strato esterno dei tamponi passando dal cotone al poliacrilato altamente performante: questo materiale favoriva la proliferazione batterica e con essa si è vista un’impennata di casi di TSS (Tossic Shock Syndrome) che ha causato circa 1200 decessi registrati in America in pochi anni. Il risultato è stato il ritiro di tale prodotto dal mercato pochi anni dopo, nel 1983. Oppure alle più banali ma certamente fastidiose irritazioni della cute dovute al contatto prolungato con materiale sintetico. Raqqa-SL

Ma il costo non è solo umano, è anche ambientale: non si può non pensare all’enorme quantità di rifiuti non riciclabili prodotti in ogni momento: tra i 5000 e 15000 di assorbenti/tamponi/pannolini utilizzati durante la vita di ogni consumatore (donna, bambino, anziano) il numero di rifiuti gettati non riciclabili e non biodegradabili è incalcolabile. E’ ora che il consumatore rifletta sui prodotti che acquista in un’ottica diversa, per se stessi e per l’ambiente.

In India ho conosciuto e personalmente testato Carmesi, un brand creato da donne, che produce assorbenti avvolti in un packaging completamente biodegradabili, e cui parte dei proventi viene devoluto a sostegno di tutte quelle donne che non possono permettersi degli assorbenti. Io ne sono rimasta entusiasta, la differenza è letteralmente palpabile: non per nulla la sua fondatrice, Tanvi Johri, è stata nominata da Forbes India come una tra le donne under 30 più influenti nel 2019. Visto che il brand non ha un mercato europeo, ho cercato soluzioni alternative, trovandone alcune su internet. Eccovi alcune idee: Totm, Dame e la già ben nota moon cup.

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