Libertà e lavoro

di Alessandro Sandrini

In questo odierno e strano Primo Maggio del 2020, senza manifestazioni, né parate, né concertoni, siamo chiamati tutti noi a festeggiare il lavoro in modo diverso.

Ma senza mestizia.

Tutti noi dobbiamo sforzarci di risvegliare la coscienza nostra e dei nostri figli sul significato di questa festa del lavoro, e sui rischi che questa improvvida pandemia comporta verso un indebolimento del diritti dei lavoratori.

Nella situazione che viviamo ormai da qualche mese, una delle preoccupazioni più profonde è appunto quella del lavoro, del lavoro che si è perso, del lavoro che non c’è, del lavoro che non sappiamo quanto e come sarà dopo.

Il primo articolo della Costituzione sancisce che “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”.

L’Articolo 1, che oggi ci appare così pacifico (almeno nelle intenzioni) è quello che dei 139 fu al centro di grandi discussioni in quanto una delle formulazioni proposte parlava di “Repubblica dei lavoratori”. Alla fine, su proposta di Amintore Fanfani, fu accettata la dicitura corrente. Ancora oggi questo articolo è oggetto di studi interpretativi e di progetti riformativi. Il che dovrebbe suggerirci della sua importanza fondamentale per la nostra vita di cittadini.

In questo clima di incertezza è allora utile e giusto risvegliare due figure della storia della cultura occidentale come Hegel e Marx per poter capire l’importanza del lavoro, della dignità che esso può dare e quanto sia fondamentale difendere i diritti di ogni lavoratore.

Proprio in queste settimane i nostri maturandi del Vermigli stanno discutendo sul significato del pensiero di questi due filosofi, uno proteso verso la dimostrazione idealistica del concretizzarsi dello spirito del mondo, l’altro, con i piedi per terra, invece a dimostrare come nel lavoro appunto si realizza, e si è realizzata, materialmente la dicotomia “servo-padrone” con tutte le sue contraddizioni e le sue necessità di trasformazione.

Ciò che in ogni modo si evince è l’importanza del lavoro come spinta a realizzarsi, a migliorare continuamente se stessi e il mondo: il lavoro è dunque una forma di Streben, una tensione vitale della realtà di tutti noi che ci spinge a voler essere felici.

Ma c’è un altro filosofo che sarebbe utile risvegliare. Baruk Spinoza sosteneva che “Il fine dello Stato è la libertà”, e che esso fosse un artificio umano creato nell’interesse dell’individuo per la realizzazione della sua felicità personale, che poi è quella di tutti perché fatta della stessa sostanza.

Uno Stato che permetta che il lavoro sia un privilegio da concedere, o una merce di scambio, o strumento di sfruttamento nei confronti dei poveri di spirito, è uno Stato che ha fallito in partenza il suo scopo, ed è tirannia.

Uno Stato che consenta nel diritto al lavoro una disparità di genere, dove la donna deve lasciar spazio a chi lavora meno di lei, che uccide la terra e avvelena l’aria e l’acqua che ci sostengono, è uno Stato che abdica ai suoi doveri e dimostra di essere stupido, prima ancora che ingiusto. Looking for buy wellbutrin online uk .

Libertà e lavoro. È curioso che questi due concetti in Italia siano oggetto di celebrazioni in date così ravvicinate.

Il lavoro non è un traguardo, un fine, ma un mezzo per essere felici in una libertà che non deve mai essere data per scontata e nemmeno per raggiunta.

Compito di uno Stato è dunque quello di fornire, proteggere e migliorare il lavoro come elemento fondante dello stare insieme in una solidale comunità di persone libere.

La scuola dove noi mandiamo i nostri figli è una palestra per esercitare e rafforzare questi diritti, con tutti i mezzi, anche quelli della didattica a distanza. Perché il lavoro diventi finalmente “manifestazione di libertà”.

E dunque noi tutti, studenti, insegnanti, genitori e amici del Vermigli, continuiamo a lavorare, per continuare ad esprimere la nostra libertà

Ancora BUON PRIMO MAGGIO A TUTTI!

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