5 Stelle allo specchio: dopo la rottura con la Lega, il Movimento strizza l’occhio alla sinistra

La crisi di governo innescata dalla mozione di sfiducia presentata dalla Lega in Senato contro il premier Conte impone agli ormai ex alleati del Movimento 5Stelle di guardarsi allo specchio per ritrovare una dimensione politica lontana dal centrodestra. Cannibalizzato dalle preferenze per la Lega di Salvini, più capace di radicarsi nei territori e forte anche di un’organizzazione partitica ben più strutturata di quella dei pentastellati, la caduta libera dei consensi per i pentastellati – dal 32,5% alle elezioni del 4 marzo 2018 fino al 16,5% degli ultimi sondaggi – presta il fianco a due possibili strategie.

Da una parte, una linea politica nuova capace di intercettare a sinistra i delusi del Pd (vi si annidano, insospettabilmente, anche diverse organizzazioni sovraniste, come Patria e Costituzione di Stefano Fassina che si sono mostrate favorevoli alla virata). Dall’altra un accordo programmatico con gli stessi dem, sepolti i rancori con la segreteria Pd dell’era Renzi.

Tertium non datur: a non lasciare molto spazio all’inventiva nemmeno per un movimento post-ideologico è la polarizzazione del potenziale bacino elettorale del centrodestra tra la Lega e Fratelli d’Italia (che non a caso stanno studiando un’ipotesi di alleanza che garantisca loro una seppur risicata maggioranza, magari assieme a ciò che rimane di Forza Italia).

E in questa nuova stagione della parabola politica dei 5Stelle, determinante sarà la figura del futuro capo politico del Movimento. In calo le chance di riconferma per Di Maio (proprio in quanto rappresentante dell’ala di centrodestra del Movimento, più che per demeriti politici); le due opzioni più credibili restano due, per provare a riempire con il realismo politico la dicotomia tra le strategie sopraccitate. Quella di una candidatura di Giuseppe Conte, fino a qualche settimana fa impronosticabile. Piace ora a molti elettori dei 5Stelle per il profilo istituzionale di Conte e per il suo posizionamento personale contro Salvini, alle cui accuse di immobilismo ha saputo ribattere, nella conferenza stampa dello scorso giovedì 8 agosto con un linguaggio politico diretto ed efficace. “Salvini ha deciso di interrompere l’esperienza di governo per capitalizzare il consenso” – ha riferito il premier, ufficializzando la crisi. “Non spetta al Ministro dell’interno convocare le camere o decidere i tempi di una crisi politica nella quale intervengono ben altri profili istituzionali. Non permetterò che si alimenti la narrativa di un governo che non opera. Di un governo dei no. Questo governo non era in spiaggia ma a lavorare tutti i giorni nelle sede istituzionali, nel rispetto degli italiani. Non accetterò più che vengano sminuiti dedizione e passione con cui gli altri ministri hanno affrontato l’impegno di governo”.

La seconda ipotesi, non meno sorprendente, è quella di un ritorno di Alessandro Di Battista che oltre a poter contare dal punto di vista mediatico sui buoni rapporti con Il Fatto Quotidiano, dimora di diversi suoi reportage in giro per il mondo, ha avviato nell’ultimo periodo una collaborazione con la casa editrice Fazi, anticipando la volontà di ricostruzione di un fronte culturale-politico spiccatamente euroscettica e anti-immigrazionista.

Sullo sfondo di una transizione di difficile lettura, un’ultima considerazione. Negli ambienti dell’attivismo civico (più che sociale) di sinistra, è tornato ad essere di attualità l’appello di un vasto fronte democratico-progressista contro il pericolo di un ritorno al fascismo, innescato anche dall’infelice uscita del vicepremier Salvini che invocava pieni poteri. Un appello alle coscienze che – per quanto autentico – rischia di risultare sterile se non direttamente controproducente. Non tanto perché gli italiani non ne abbiano più una. Ma perché la presunta superiorità morale non fa che rendere più evidente il vuoto di proposta politica in un Paese che ha bisogno come il pane di misure espansive e di stato sociale. Non certo di governi balneari, che cambino tutto per non cambiare niente.

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