di Moreno Macchi

Fondata nel 1853 contemporaneamente all’Istituto Nazionale Ginevrino, la Société Genevoise des Ecrivains (SGE) ha sempre avuto come scopo di incoraggiare la creazione letteraria, la difesa degli scrittori e delle scrittrici e la protezione della libertà di espressione.
Il suo primo presidente fu Henri Frédéric Amiel (1821-1874), noto scrittore svizzero di espressione francese, che ha lasciato (oltre a un’importante opera filosofica) un monumentale Diario (Journal intime 1847-1881) che ha segnato la storia letteraria soprattutto grazie alla sua lucidità, alla sincerità dell’introspezione e alla minuzia dei dettagli.
La SGE è politicamente neutrale, e riunisce scrittori professionisti o non professionisti che intrattengono una relazione particolare con Ginevra e i suoi dintorni.
Attualmente raggruppa un centinaio di autori e autrici che hanno pubblicato almeno un libro (ma non a proprie spese!); partecipa alle attività e manifestazioni culturali della regione come ad esempio il Salone del Libro e della Stampa, il Salone del libro savoiardo o ancora la Fureur de lire, organizzata ogni due anni dalla città di Ginevra.
Il Premio della SGE viene assegnato annualmente, ma seguendo un’alternanza di quattro generi letterari specifici: il romanzo, il teatro, il saggio e la poesia. L’eletto di questi generi riceve quindi l’ambito Premio di diecimila franchi svizzeri solo ogni quattro anni.
La SGE organizza anche la Fête de la poésie in occasione della Giornata mondiale della poesia che si svolge il 21 marzo di ogni anno; è in quest’occasione che attribuisce il Premio della poesia.
Ma veniamo a quello del romanzo, assegnato il 6 dicembre ultimo scorso nel salone della villa del Generale Dufour immersa in un bel parco, nel quartiere ginevrino di Malagnou.
Otto chili di carta, 2791 pagine A4 dattiloscritte, una raccolta di novelle e 18 romanzi. Tra questi: romanzi psicologici o d’analisi, romanzi storici e distopie, romanzi realisti o di fantasia, un’autobiografia, un romanzo che si svolge tutto on the road e perfino un thriller finanziario con un finale di tipo poliziesco.
Insomma, una grande diversità di generi, presentati sia da autori che da autrici e tutti rigorosamente anonimi, e quindi sottoposti ai giurati sotto pseudonimo. Il miglior modo per non influenzare minimamente la giuria che, presieduta da René Rieder (membro sel Comitato della SGE, autore del libro La liberté humaine, justice sociale: le Parti radical genevois e insegnante di letteratura), era composta da Alix Parodi (presidentessa del Pen Club Svizzero romando), Geneviève Bridel (giornalista e collaboratrice della Televisione Svizzera Romanda) Olivier May (scrittore) e infine dal vostro servitore nel suo ruolo di opinionista letterario.
Le discussioni sui testi in concorso sono state davvero interessanti, stimolanti, ricche e a volte perfino piuttosto vivaci, tanto le opinioni su tale o tale scritto tendevano a differire.
La giuria ha finito per scegliere, tra i cinque testi rimasti in gara, due romanzi finalisti estremamente diversi e quasi agli antipodi l’uno dall’altro. Il primo (L’Ancre du Destin), incentrato su una problematica quasi «pirandelliana», presenta personaggi che rivendicano una loro libertà esistenziale indipendente dalla volontà degli scrittori che li hanno creati e che in più vivono le loro avventure in mondi paralleli o sovrapposti con distinte coordinate spazio / temporali. Testo molto interessante dal punto di vista strutturale e stilistico, che richiede da parte del lettore un’attenzione sempre sostenutissima per orientarsi nelle varie dimensioni non sempre facilmente individuabili e distinguibili.
L’altro romanzo, più «classico», è un testo di tipo storico, che si svolge essenzialmente in Belgio, ai tempi della Seconda guerra Mondiale.
Se il romanzo storico (quello «alla Walter Scott» per intenderci) al momento della sua apparizione aveva certamente sedotto i lettori grazie alle sue pittoresche descrizioni di epoche lontane (e quasi sempre perdute) ravvivate però dalla tradizionale, amata nostalgia di mondi meravigliosi (ma certamente idealizzati!), il romanzo di cui parliamo non seduce per questo tipo di effetto.
Une Nuit en Fiandre ha letteralmente entusiasmato la giuria perché trasporta il lettore nel 1934, a Bruxelles, in quei non così lontani tempi bui della nostra Storia, in un paese occupato dell’esercito tedesco che permette a movimenti locali particolarmente estremisti e anche più sanguinari delle stesse SS (come quello del Partito Rexista) di far regnare il terrore e di effettuare esecuzioni sommarie in assoluta impunità quando non addirittura con il benestare e la protezione dei nazisti.
Le tensioni, le tempeste nei cervelli, le decisioni impossibili che devono prendere i personaggi e i loro drammi personali si trovano al centro di Une Nuit en Flandre. E così, come lo disse bene il nostro Umberto Eco a proposito del suo celeberrimo Il Nome della Rosa, «le azioni dei personaggi di un romanzo servono a far capire meglio la Storia, quello che è veramente successo, e seppur inventate ci dicono di più e con una maggior forza di quello che ci raccontano i libri di storia. È questo il grande potere della narrativa!»
È proprio quest’ultimo romanzo, scritto con grande maestria e finezza da Maurice Darier, che è stato scelto dalla giuria per il Premio del Romanzo 2022.
Nella qualità dell’analisi delle scelte politiche, esistenziali e filosofiche del testo possiamo sentir risuonare gli echi della carriera diplomatica di Maurice Darier, prima a Berna, poi a Londra e a Washington, e dal 2006 al 2016 in Arabia Saudita, nell’Oman e nello Yemen e per finire in Finlandia e in Estonia.
La giuria ha anche deciso di assegnare all’altro testo finalista scritto da Graziella Corvini il premio chiamato La Plume d’Or per valorizzarne l’originalità, la sapiente costruzione e le caratteristiche assai innovative.