Alessandria, terra di artisti e di rifiuti
radioattivi. Tutte le ragioni del no

Proteste contro gli impianti nucleari in Piemonte

di Ilaria Fuso

“Un deposito deve essere fatto, ma non di fronte a un patrimonio dell’Umanità. Dopo 50 anni, verrebbe costruita una gigantesca collina artificiale, per la metratura di 1700 campi da calcio. Una situazione che espone il territorio al rischio concreto di una revoca del titolo di sito Unesco”

La provincia di Alessandria, in Piemonte, è nota a livello mondiale non solo per avere dato i natali ai celebri artisti Angelo Morbelli e Carlo Carrà, ma anche per i paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e del Monferrato. Questi luoghi, dove sono ambientati i più celebri romanzi di Cesare Pavese e Beppe Fenoglio, hanno ricevuto nel 2014 il prestigioso riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità da parte dell’UNESCO. Ma il 5 gennaio 2021 la Sogin S.p.a. (Società Gestione Impianti Nucleari) ha pubblicato la carta CNAPI (Carta Nazionale Aree Potenzialmente Idonee) in cui sono individuati 67 siti potenzialmente idonei ad ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti nucleari; due di questi si trovano proprio accanto all’area del sito UNESCO, fra i comuni di Alessandria, Castelletto Monferrato e Quargnento, Fubine.

Di fronte alla scelta di adibire questi luoghi a depositi di scorie potenzialmente pericolose, è sorto -su iniziativa della comunità locale- un Comitato culturale per sostenere le ragioni del No.  Per capire i motivi della protesta intervistiamo l’avvocato Alessandro Provera presidente del Comitato Gente del Territorio. Tutela e promozione dell’ambiente e della cultura della Provincia di Alessandria, nonché docente di Diritto penale.

Quali criteri sono stati utilizzati da Sogin S.p.a. per individuare il sito per il Deposito nucleare nel Monferrato?

“Il decreto legislativo che individua i criteri utilizzati da Sogin è del 2010: individua due tipologie di criteri: criteri di esclusione e criteri di approfondimento. I primi, se vengono ritenuti integrati nel luogo, non richiedono ulteriori indagini, i secondi servono per valutare le aree individuate a seguito dell’applicazione dei criteri di esclusione. La loro applicazione può condurre all’esclusione di ulteriori porzioni di territorio all’interno delle aree potenzialmente idonee e a individuare siti di interesse. L’unica pecca di questi criteri è che parlano sì di situazioni paesaggistiche di particolare rilievo, di siti di particolare interesse storico nazionale o internazionale (CA12), ma questo non ha impedito la selezione di territori limitrofi a un patrimonio UNESCO, o a un complesso monumentale come quello di Santa Croce a Bosco Marengo”.

Quali sono le problematiche più evidenti emerse dopo questa individuazione?

“Sogin, nelle sue varie dichiarazioni pubbliche, ha sempre sostenuto di avere tenuto conto dell’evoluzione di questi territori nel corso del tempo, pertanto avrebbe dovuto tenere in considerazione anche il riconoscimento della qualifica di patrimonio UNESCO ricevuta nel 2014 dai Paesaggi vitivinicoli delle Langhe, Roero e del Monferrato. In realtà sembra che così non sia stato: Sogin si è forse attenuta alle schede tecniche che i comuni sono tenuti ad aggiornare periodicamente e lo si capisce dal fatto che non c’è menzione di particolari situazioni da un punto di vista artistico e paesaggistico. Viene fatta una valutazione meramente geologica, perché si parla delle caratteristiche del suolo”.

Sono stati fatti dei rilievi in loco?

“Sembrerebbe di no. Lo si intuisce dal fatto che Castelletto Monferrato era stato definito come luogo idoneo per il deposito, in virtù della presunta assenza di falde acquifere di superficie. In realtà, eseguendo dei rilievi come quelli effettuati dai tecnici della provincia e del comune, si scopre l’esistenza di falde che sono situate anche a 50 cm dal piano campagna: basta scavare con le mani per trovare l’acqua”.

E quindi?

“Questo evidenzia anche come non sia stata considerata affatto la qualità di questi territori, il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità e le peculiarità agricole.
Qui sono presenti colture di estremo pregio: aziende primarie hanno investito, come chi ha piantumato nel corso degli ultimi anni circa cento ettari di noccioleti, la Nocciola Tonda Gentile IGP. Uno dei criteri di approfondimento della carta Sogin/Cnapi si basa proprio sul fatto che siano presenti sul territorio delle colture di pregio: questo perché va verificato se il deposito potrebbe interferire con le caratteristiche del terreno, andando a compromettere la qualità dei prodotti”.

Qualcuno ha verificato che tipo di colture fossero presenti sul territorio?

“Sembrerebbe di no”.

Sul territorio sono fra l’altro presenti anche colture vitivinicole di estremo pregio.

“Esatto. Quando si parla del Patrimonio UNESCO riferito alla zona Langhe-Roero-Monferrato si parla di un patrimonio diffuso, perché il sito comprende diverse zone: si tratta di cinque aree vinicole distinte e un castello: la Langa del Barolo, le colline del Barbaresco, Nizza Monferrato e il Barbera, Canelli e l’Asti Spumante, il Monferrato degli Infernot e il Castello di Grinzane Cavour.
Quindi non è soltanto la possibilità che si possa verificare un’incidente o la contaminazione del suolo. Il punto è che il riconoscimento di Patrimonio UNESCO viene conferito al territorio Langhe-Roero-Monferrato in virtù di una caratteristica unica: l’armonia del paesaggio. È una zona unica al mondo perché, pur essendo presente l’intervento antropico, esso è in completa armonia con la natura e con il panorama: torri medievali, castelli e borghi pittoreschi che sorgono su colline verdeggianti, dove le aree industriali sono assenti. L’industria è un’industria vitivinicola e si è evoluta nel corso dei secoli in modo conforme alla biodiversità e in perfetta armonia con l’ambiente”.

Il problema, quindi, non sarebbe soltanto la sicurezza del deposito, quanto l’impatto che esso avrebbe sul paesaggio. Giusto?

“Esattamente: qui il vero problema non è soltanto la sicurezza del deposito, che ospiterebbe anche rifiuti ad alta radioattività, il cui decadimento si calcola in migliaia di anni, ma anche l’impatto paesaggistico, sociale e culturale che esso può avere: verrebbe costruito ai piedi di queste colline ed è come se venisse creata una gigantesca collina artificiale che per 50 anni sarebbe aperta, con viavai di camion che giungerebbero per portare le scorie, momentaneamente collocate all’aperto e coperte provvisoriamente. Per 50 anni, in attesa che sia riempito completamente, l’aspetto del deposito sarebbe questo. Dopo 50 anni, verrebbe costruita una gigantesca collina artificiale, per la metratura di 1700 campi da calcio: sarebbe una completa deturpazione del paesaggio perché si verrebbe a trovare in linea d’aria a pochissimi chilometri di distanza dal sito UNESCO, che non è un sito archeologico, ma è un importantissimo sito paesaggistico. Tutto questo comporta un’incompatibilità con le caratteristiche stesse alla base del riconoscimento dello status di patrimonio dell’umanità, esponendo il territorio al rischio della possibile revoca”.

È già successo?

Sì, alla città di Dresda nel 2009 a seguito del progetto e della costruzione del Walschlössenbrücke, un ponte con viadotto a 4 corsie, che andava a turbare l’armonia paesaggistica a suo tempo riconosciuta patrimonio UNESCO”.

Quindi c’è il rischio concreto di una revoca?

“Assolutamente sì; nel caso di Dresda la revoca è stata causata da un intervento antropico molto meno invasivo, rispetto a quello che potrebbe essere il Deposito nucleare nel Monferrato. I siti vengono monitorati costantemente dall’UNESCO per verificarne lo stato e la revoca può essere disposta quando una situazione ambientale incide sui criteri che sono stati alla base del riconoscimento: per quanto riguarda il Monferrato i criteri delineano una situazione di armonia dell’intervento umano rispetto al paesaggio, considerato da UNESCO un esempio unico anche per tutti gli altri paesaggi vitivinicoli del mondo. Quando si parla di paesaggio vitivinicolo in Piemonte si parla di una tradizione millenaria: basti pensare, anche se è in un’altra area, alla Vigna della Regina a Torino: la vigna urbana dei Savoia dove si produce ancora il Freisa, un’uva che esiste dal 1200. In questi luoghi nasce un’idea particolare di vinificazione: ci sono i vini pregiati come Barolo, Barbaresco, Nebbiolo. Viene riconosciuto patrimonio UNESCO anche Canelli, il luogo del primo spumante italiano della storia, vinificato per la prima volta nel 1864”.

Eppure, un sito per il deposito nucleare va trovato. Soluzioni?

“Certo, anche perché è un obbligo europeo, ma sarebbe necessario scegliere un luogo che si trovi ad una certa distanza da una città: mi viene in mente l’esempio della Francia, dove hanno situato un deposito nucleare vicina alla Champagne, ma ad una distanza significativa dal primo centro abitato; in Spagna il deposito nucleare si trova in un’area desertica dell’Estremadura. Il Patrimonio UNESCO del Monferrato non è patrimonio esclusivo di chi vi abita, ma è di tutti: Patrimonio dell’Umanità. Alcuni dei siti individuati da Sogin sono fra gli altri la Val D’Orcia, Cefalù, ma anche Tarquinia: i rifiuti nucleari in quel caso verrebbero tumulati accanto alle tombe etrusche, di già complessa conservazione? Non si fa una battaglia per salvare solo uno di questi luoghi, si fa una battaglia per salvarli tutti”.

A proposito di battaglie: quali iniziative sono state intraprese dagli enti locali?

“Innanzitutto, gli enti locali, in questo caso le province coinvolte di Alessandria e Torino, sono chiamati a svolgere delle contro deduzioni con 60 giorni di tempo (prorogati di ulteriori 120 giorni) a partire dalla pubblicazione.
In questi complessivi 180 giorni gli enti devono fare delle controdeduzioni, formulando dei rilievi tecnici, per esempio a livello geologico. Lo stanno facendo con l’appoggio della Regione Piemonte, schierata apertamente per il NO. In aggiunta a questo c’è una mozione parlamentare a firma dell’On. Molinari con la quale si richiede, tra le alte cose, l’esclusione dalla carta CNAPI dei siti prossimi a patrimoni UNESCO o vicini a monumenti storici di fondamentale importanza”.

Di cosa si occupa invece il Comitato NO Deposito Nucleare Gente del Territorio di cui Lei è presidente?

“Il Comitato si occupa di due cose: fare divulgazione e sensibilizzare la popolazione, ma anche di effettuare studi e ricerche sull’argomento, che possano essere utilizzati come contro deduzioni. Solitamente gli enti locali fanno contro deduzioni di tipo tecnico, il comitato invece si occupa di indagare e divulgare gli aspetti più sociali, economici e urbanistici legati al deposito.
Al momento il nostro Comitato è composto da 35 comuni della provincia di Alessandria, a cui presto se ne aggiungeranno altri e accoglie sia cittadini che enti locali. Nella petizione popolare, ai sensi dell’art 50 della Costituzione, che è stata presentata durante una conferenza stampa il 9 marzo viene chiesta l’esclusione da parte di Sogin dalla carta CNAPI di tutti quei siti che siano vicini a patrimoni UNESCO, luoghi artistici o culturali di rilevanza nazionale e locale.  Quella del Comitato è una realtà molto particolare e utile, perché è frutto della cooperazione fra cittadini ed enti locali. Vengono quindi organizzate iniziative volte proprio a sensibilizzare la popolazione su questi temi, come in occasione del webinar organizzato in collaborazione con il Touring Club, incentrato sulle ricadute socioeconomiche di un possibile deposito nucleare sul territorio”.

Cosa è emerso?

Un dato fondamentale legato al turismo: il turismo della zona Langhe-Roero-Monferrato è in ascesa e occupa circa 5.000 persone soltanto in provincia di Alessandria e circa 24.000 nella provincia di Cuneo. Il turismo di questi luoghi è sì un turismo storico, ma soprattutto ambientale ed enogastronomico. Se in futuro si dovesse scegliere una meta per trascorrere un weekend all’aria aperta passeggiando alla scoperta di bellezze storiche, paesaggi e prodotti tipici…perché le persone dovrebbero scegliere di andare accanto ad un deposito nucleare? Queste sono valutazioni che si fanno tranquillamente e senza nemmeno accorgersene. Se si ha un turismo come il nostro, è chiaro che un deposito nucleare avrebbe su di esso un impatto devastante. È tutto legato: l’ambiente, la storia, il paesaggio, l’economia locale, le tradizioni, il turismo. Noi del Comitato stiamo svolgendo uno studio in collaborazione con il Touring Club, che evidenzi le eventuali ricadute negative sul territorio, così da informare cittadini ed enti locali su queste problematiche. Altro studio di cui ci siamo occupando è quello legato all’UNESCO: cosa succederebbe se il titolo di patrimonio dell’umanità venisse revocato?”.

L’unicità di questo sito UNESCO risiede nell’armonia: come sarebbe possibile uno sviluppo economico del territorio salvaguardando l’armonia?

“Si può scegliere di andare in due direzioni diverse: fare economia basandosi sui rifiuti e rinunciare a un’idea di sviluppo ecosostenibile, oppure incentivare un turismo nuovo. Turismo non significa solo aprire alberghi, ristoranti o enoteche, significa salvaguardia e valorizzazione dell’identità del territorio in tutti i suoi aspetti: storico, artistico, paesaggistico, letterario, enologico e gastronomico. Chi fa il vino e vorrebbe chiudere sarebbe incoraggiato a trasmettere questo sapere ai propri figli, i quali anziché andare a studiare lontano potrebbero scegliere di portare avanti una tradizione e mantenere in vita un mestiere che rappresenta l’identità stessa di un territorio. Andare in una direzione di sviluppo ecosostenibile significa questo. Si rilancerebbero le attività culturali: potrebbero essere organizzati festival di storia locale coinvolgendo viaggiatori provenienti da tutto il mondo, come avviene già ad Alba in occasione della fiera del tartufo.
È una scelta cruciale per un paese scegliere una direzione anziché un’altra: significherebbe non far morire le tradizioni, prendersi cura di un’identità e valorizzare una Comunità. Un deposito deve essere fatto, ma non di fronte a un patrimonio dell’Umanità: questa terra, con tutto ciò che su di essa prospera, è una ricchezza culturale enorme”.


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