Alla ricerca del cibo spontaneo

Il foraging: un’arte antica da riscoprire

Di Maria Moreni

È considerata una delle ultime novità per quanto riguarda la riscoperta della natura da parte degli esseri umani. È un nuovo modo di vivere il rapporto con essa. Ma la verità è che il foraging è un rituale antico, le cui origini risalgono a millenni fa. Con questo termine s’intende la raccolta di frutti ed erbe rigorosamente selvatici non casuale, ma consapevole: occorre cioè conoscerne bene nome, proprietà, sapore, quando e dove avviene la loro crescita, come cucinarli e come conservarli, utilizzandoli, per l’appunto, ai fornelli. Dal momento che si è stati coinvolti in prima persona nel reperimento delle materie prime, sia la fase della preparazione dei piatti sia quella relativa all’assaggio saranno ancora più piacevoli. Il foraging può essere svolto in differenti contesti – i principali sono monti, boschi, prati, zone di campagna, argini dei fiumi, rive del mare e in genere terreni incontaminati lontani da inquinamento atmosferico e acustico – e può riguardare non solo frutti e bacche, ma anche foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi, bulbi. Siamo abituati a raccogliere e impiegare in cucina castagne, nocciole, more, lamponi, mirtilli e funghi. Ma, al di là di infusi e tisane, ci sono davvero tanti vegetali molto meno conosciuti e pur sempre commestibili, per esempio la betulla, il larice e il biancospino, solo per citarne alcuni.

malva

TRA PASSATO E FUTURO

Il foraging, oltretutto, viene considerata la tendenza alimentare del futuro: come ha sottolineato il National Geographic, entro il 2050 dovremo nutrire due miliardi di persone in più nel pianeta. Una tra le varie soluzioni sostenibili potrebbe essere proprio ravvisabile in questa tradizione ancestrale – ancora presente in culture come quelle degli Tsimane in Amazzonia e degli Hadza in Tanzania – ripresa e valorizzata, in tempi recenti, anche da grandi chef a livello mondiale che rendono ancora più speciali le loro creazioni gourmet grazie a ingredienti selvatici, magari raccolti con le loro stesse mani. Uno su tutti, René Redzepi, in Danimarca. Lui stesso ha dichiarato che il foraging ha permesso al Noma di Copenaghen di diventare uno dei migliori ristoranti al mondo, oltre ad aiutarlo personalmente e farlo sentire più vicino e connesso al territorio quando si è trasferito dalla Macedonia nelle fredde lande del Nord Europa. Qualche tempo fa si è parlato molto pure di Michael Thompson e Ollie Downey, impegnati a raccogliere ortiche e aglio selvatico nei parchi londinesi. Pratica il foraging anche Antonia Klugmann, titolare de L’Argine a Vencò, a Dolegna del Collio, in Friuli-Venezia Giulia, quasi al confine con la Slovenia, dove “tutti hanno origini contadine ed esiste un rapporto molto forte e autentico con la terra”, come ha sottolineato la chef al “Corriere della Sera”. Per chiunque, del resto, l’attività può essere un’alternativa alla consueta spesa alimentare in negozi e supermercati, per farsi autonomamente una propria “dispensa selvatica” a casa propria. Se si è alle prime armi, il consiglio è di limitarsi ad osservare e fotografare le specie vegetali prima di procedere alla raccolta e, soprattutto, al consumo. E di farsi guidare da professionisti seri, qualificati e competenti. Nomi affermati del settore – solo per ricordarne alcuni – sono, in Italia, Eleonora Matarrese, nota online come “La Cuoca Selvatica”, membro della International Association of Foragers; Valeria Margherita Mosca, insegnante, ricercatrice e fondatrice di wood*ing wild food lab, laboratorio di ricerca sui temi dell’alimentazione sostenibile e dell’utilizzo del cibo spontaneo per la nutrizione umana; in Svizzera, Meret Bissegger, grande esperta, ambasciatrice della cucina naturale, nota per i suoi corsi e le sue escursioni guidate nella Valle di Blenio, con un finale prelibato: un menu preparato con il “bottino raccolto”.

borragine

ALCUNI ACCORGIMENTI

In genere gli ortaggi selvatici sono molto più ricchi di sostanze nutritive. Dunque conviene consumarne poche quantità per volta, per abituare palato e intestino, e previa cottura. Più di un’erba può avere piccole controindicazioni. L’acetosella, per esempio, contiene molto acido ossalico, tanto che potrebbe favorire lo sviluppo di calcoli renali in chi non è abituato. La borragine, utilizzata per gustosi ripieni di pasta fresca, frittate, risotti, minestre e vellutate, presenta alcaloidi che potrebbero aggravare le condizioni di chi soffre di malattie epatiche. Le ortiche sono una delle verdure selvatiche più facili da identificare, da raccogliere all’inizio della primavera. Da fine maggio-giugno in poi potrebbero diventare un po’ dure e fibrose. Scegliete le cime giovani e quelle verde chiaro. Non raccoglietele mai quando sono in fiore e maneggiatele con cura fino alla cottura che aiuterà a rimuovere la parte pungente. Il tarassaco è protagonista di molte insalate primaverili, ma può essere utilizzato anche per una delicata vellutata insieme alle fave. Lo sapevate che i germogli dei suoi fiori possono essere messi sott’aceto come i capperi? L’aglio orsino o aglio selvatico ama la terra umida: si trova soprattutto lungo le rive di torrenti e fiumi. Le foglie si raccolgono a partire da fine marzo, mentre i fiorellini bianchi compaiono più avanti nella stagione e aggiungono un tocco delizioso alle insalate. Per il sambuco il periodo giusto è quello che va da fine maggio a inizio luglio. Deliziosi i suoi fiori in pastella. Le sue bacche sono preziose per la cucina d’autunno. Quelle di biancospino, invece, con un sapore che ricorda un po’ quello della mela, caratterizzate da un alto contenuto di pectina, sono ottime per fare marmellate e condimenti. A lungo apprezzata per le sue proprietà medicinali, la malva funziona anche come addensante in alcune preparazioni culinarie. Avete presente i marshmallow, i dolcetti americani bianchi e morbidi da arrostire intorno al fuoco? Ebbene, mallow significa proprio malva, marsh invece vuol dire acquitrino. Questa pianta, del resto, nasce proprio in terreni che costeggiano acque stagnanti. Non vi stupirà, a questo punto, apprendere che la sua radice era usata nell’antico Egitto per creare dei dolci da offrire alle divinità, ai nobili e ai faraoni. Il luppolo selvatico, dolce e delicato, è perfetto per i risotti, le frittatine. Tenete presenti le pratoline, da adagiare su crostoni di pane, con aglio selvatico, caprino e olio di oliva extravergine delicato, oppure per decorare insalate, creme, risotti o vellutate.

(Fonti principali: BBC, Corriere della Sera, Humanitas)

PER INIZIARE

Per dedicarsi alla pratica del foraging non occorre chissà quale attrezzatura. Tuttavia è consigliabile avere piccole accortezze relativamente all’abbigliamento. Indossate pantaloni lunghi infilati in un paio di stivali da pioggia per proteggervi da rovi e insetti. Un paio di guanti da giardinaggio possono esservi utili soprattutto per raccogliere piante spinose come ortiche e bacche, mentre forbici o cesoie aiutano a tagliare piante frondose. Conservate rami, radici, fiori, frutti, bacche, foglie e quant’altro in buste di carta (ideali per i funghi) e sacchetti di plastica richiudibili. Tenete un diario, che oltre a farvi mettere nero su bianco le vostre avventure nella natura può essere uno strumento, insieme a libri e ad app, per migliorare e rafforzare le vostre conoscenze in materia. Coinvolgete i bambini non solo nella raccolta, ma anche, per esempio, nelle foto che potrete scattare. I piccoli possono imparare molto venendo con voi, meglio ancora – ribadiamo – se in tour guidati con un professionista specializzato, per la sicurezza di tutti quanti in primis.  

5 “SEMAFORI ROSSI”!  

Il lattice del fico così come gli infusi o i decotti preparati con le foglie (talvolta usati impropriamente come “abbronzante naturale”) può causare delle gravi ustioni, aggravate dall’esposizione alla luce.

L’olio di ricino contiene solo l’essenza oleosa e non la componente proteica tossica. I semi, dei grani rossi con una macchia nera, sono usati per preparare rosari e collane ornamentali.

La digitale, il mughetto e l’oleandro contengono dei glicosidi cardioattivi che causano il rallentamento del battito cardiaco fino all’arresto.

La belladonna, la mandragora, lo stramonio contengono degli alcaloidi con azione anticolinergica, che causano agitazione, allucinazioni e, nei casi più gravi, convulsioni e coma.

La cicuta determina paralisi della muscolatura con insufficienza respiratoria, ipossia e morte.

(Fonte: “Le intossicazioni alimentari da tossine naturali: guida al riconoscimento e alla prevenzione di Francesca Assisi, Ospedale Niguarda di Milano, Ministero italiano della Salute, Regione Lombardia, Centro Antiveleni di Milano, IZSLER)

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