Andrea Schenone: voto No al referendum sul taglio dei parlamentari

“Una riforma che rende la democrazia più debole?” lo abbiamo chiesto a Andrea Schenone, membro di Lega nel Mondo e Presidente dell’Associazione Swiss Federalism, nonché sostenitore dell’iniziativa del partito svizzero UDC per un’immigrazione moderata.

Andrea Schenone, qual è la sua posizione riguardo al voto sul taglio dei parlamentari?

Per quanto io sia d’accordo, in principio, sul fatto che il numero dei parlamentari vada ridotto, trovo questa legge, voluta dai grillini, sottoposta a referendum, l’ennesima “porcata” di questa legislatura. In primis, la riduzione dei parlamentari non tocca la questione delle liste bloccate, che costituiscono un problema per la democrazia italiana, là dove, lo sappiamo, accade che in parlamento non finiscano persone competenti ma i cosiddetti ‘amici degli amici’, anche senza merito. L’incompetenza dell’attuale parlamento fa rimpiangere la prima repubblica e la dignità di alcuni suoi personaggi. Un secondo problema riguarda il bicameralismo perfetto che non viene messo in discussione dalla riforma: esso rallenta le decisioni da prendersi, un fatto particolarmente problematico in un mondo come il nostro che si muove con molta velocità. La nostra associazione, che è apartitica e aperta a tutti, e che si concentra su temi inerenti l’Italia all’estero, ha da sempre avuto sul tema referendario posizioni lievemente discordanti rispetto alla Lega, che, tuttavia, da una posizione iniziale per il sì, in queste settimane sta valutando o meno il suo appoggio.

È questo un referendum di sinistra? 

Sì. È un referendum nato da un inciucio, per motivi demagogici e di attaccamento al potere, imposto dai 5S a un partito, il PD, che – eccetto una breve pausa – dal 2011 è stato al potere pur senza aver mai avuto la maggioranza elettorale. Gli italiani all’estero, le zone meno popolate d’Italia non avranno più rappresentanti e così si allontana la politica dai territori. I parlamentari saranno scelti in liste bloccate dai capetti di partito senza nessun legame con i territori e in Senato i governi saranno sempre in balia di due o tre senatori. Infine, avremo commissioni che funzioneranno peggio, quindi leggi più confuse e meno efficaci. In una parola: democrazia più debole. Il declino inesorabile della nostra democrazia continuerebbe, un declino a mio parere accelerato da quelli che lo volevano fermare, e nei fatti lo hanno accentuato, i 5 stelle, che hanno portato nella politica solo demagogia spicciola.

Per quanto riguarda i parlamentari italiani all’estero, condivide la posizione secondo la quale il taglio serva a ridurne l’eccessiva influenza? 

Tagliare i parlamentari all’estero senza una riforma complessiva del sistema di rappresentanza è un’operazione antistorica e pericolosa perché l’esodo di italiani di ogni classe sociale che emigrano non accenna a diminuire. Ridurre gli spazi democratici di questi italiani è addirittura antidemocratico. Senza parlare che l’esodo degli italiani all’estero ha riguardato nell’ultimo decennio centinaia di migliaia di laureati: abbiamo una potenziale classe dirigente all’estero che potremmo sfruttare e invece.. Prima di tagliare, credo serva una riforma che vada a limare le enormi criticità dell’attuale rappresentanza dei connazionali all’estero. Penso ai COMITES, che hanno un sistema di voto, in cui i candidati raccolgono le firme praticamente “casa per casa” e sono eletti dal 2 o 3% degli italiani presenti nel relativo distretto. I COMITES e la loro assurda legge, concepita a suo tempo solo per favorire il PD che, secondo noi, sfrutta la rete dei patronati in maniera discutibile per fini politici, dovrebbero essere rafforzati ma con un discorso politico serio alla base. Non basta tagliare senza migliorare gli spazi e le modalità di voto dei concittadini all’estero, ad esempio introducendo il voto elettronico. Sorprende poi la contraddizione della sinistra che da sempre a parole si è fatta paladina degli italiani all’estero, e poi nei fatti non ha mai fatto nulla concretamente, e oggi, addirittura sembra pronta a cancellare questo tema importante dall’agenda politica, riducendo la politica degli italiani all’estero a mera testimonianza, non cogliendo lo spirito dei tempi.

Lei non crede che tagliare i parlamentari rimanga comunque utile per l’Italia, contro l’immobilismo della Penisola e per la sua democrazia?

No, non credo sia questo il problema: l’immobilismo dell’Italia, a mio avviso, è legato alla politica economica volta al sussidio e all’assistenzialismo – veleno per una economia a  rischio concreto di default – perseguita dall’attuale governo, del quale sono molto critico e che io definisco addirittura il peggiore della storia della Seconda Repubblica. Serve una politica economica volta agli investimenti di cui non vedo traccia. Inoltre, credo che ci si dovrebbe occupare maggiormente di quella che per la destra italiana è il problema democratico italiano: il fatto che una parte della magistratura faccia politica in maniera attiva. Questo andrebbe fatto, insieme a una riforma in senso federalista dello stato che stimoli la democrazia, non la uccida per darla in mano a Rousseau o alla demagogia da quattro soldi di un ex comico.

Da sinistra Ueli Maurer e Andrea Schenone

La sua associazione recentemente ha espresso pieno supporto al partito svizzero UDC, sostenitore dell’iniziativa per “Per un’immigrazione moderata (Iniziativa per la limitazione)”. Non è un controsenso schierarsi a favore del ‘prima i nostri’ svizzeri, dal momento che lei stesso è un emigrato dall’Italia a Zurigo?

Comincio con un dato personale: io sono entrato in Svizzera quando c’erano ancora contingenti e vigeva il principio, giusto per quanto mi riguarda, di “prima gli Svizzeri”. Sono stato un migrante economico là dove si aveva le capacità richieste nel luogo di migrazione. Ultimamente, dagli accordi sulla libera circolazione in poi, però assistiamo a una lenta decadenza della Svizzera, che solo grazie alle battaglie dell’UDC legate al controllo dell’immigrazione ha potuto mantenere certi standard economici, legati anche al funzionamento democratico in chiave federalista. In particolare oggi assistiamo innanzitutto all’esplosione demografica, con conseguenti problemi legati al traffico e deturpamento del paesaggio. Nel mercato del lavoro, la competizione è drammaticamente aumentata con agenzie di reclutamento che ricevano centinaia di domande da tutta Europa. La piccola Svizzera non può fare da valvola di sfogo per i problemi di un continente, non può risolvere da sola i problemi di disoccupazione che l‘Unione Europea ha creato e che sembra incapace di risolvere, con gente che arriva da ogni parte, anche dall’Italia, portando con sé un carico di disperazione enorme. Questa non è la Svizzera che voglio. Credo ci debba essere la possibilità di emigrare se si ha un lavoro, non partire senza alcuna certezza verso un altro paese. Meglio piuttosto allora starsene nel proprio e lottare per cambiarlo. La Svizzera e la sua democrazia federalista andrebbe presa piuttosto a modello dagli altri paesi europei, non usata come valvola di sfogo.

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