di Clara Cappelletti
Foto credits: Sharon McCutcheon on Unsplash
Roma, Quartiere Tuscolano, interno giorno.
Siamo all’interno di una scuola dell’infanzia, nella quale ogni classe è contraddistinta da un colore dell’arcobaleno. Le maestre, per distinguere i gruppi classe, decidono di far indossare ad ogni gruppo il grembiule del colore della propria classe: giallo, arancione, rosso, verde, blu, indaco, violetto.
Qualche genitore, però, non ci sta: il violetto, mio figlio, non lo indossa, mica è femmina! Davanti alla minaccia di togliere il figlio da scuola, se gli fosse stato imposto il grembiule violetto, le maestre desistono: niente grembiuli viola per i bambini e le bambine della classe viola.
È solo un racconto (vero), una storia (vera) capitata in un luogo e in un momento; eppure, quella della scuola dell’infanzia del quartiere Tuscolano a Roma è una storia come tante storie.
Gli stereotipi di genere ci accompagnano fin dal nostro primo vagito, e sono così radicati nella società in cui viviamo, anche nella parte più sana di essa, che riuscire ad opporsi, vivendo una vita libera da essi, è assai complesso. Il contesto in cui iniziamo a gattonare e in cui muoviamo i primi passi è quello che inizia ad accumulare al nostro interno il nostro bagaglio di piume e pesi che ci porteremo dietro per buona parte della nostra vita. Ho amato molto la metafora della scrittrice Carolina Capria, che in occasione dell’intervista per Palinsesto Femminista (la puntata è Femminismo per bambini e bambine), paragona i bambini e le bambine ad uno scantinato semivuoto, assai più facile da ripulire rispetto ad uno scantinato che ha accumulato abitudini e stereotipi per trenta, cinquanta, settant’anni. Insomma, secondo Carolina, che dell’incontro e dello scambio con i bambini e le bambine nelle scuole ha fatto mestiere di vita, la possibilità di crescere bambin* liber* dagli stereotipi di genere, c’è. Basta togliere quelle tre, quattro cose accumulate, e mettercene di nuove.
E a dimostrarlo ci sono tanti indizi, che a coglierli tutti fanno sicuramente una prova.
Per esempio, rimango stupita ogni volta che esce una nuova produzione Disney: dove caspita sono finite le principesse vestite di rosa, che trascorrono le giornate in attesa del Principe azzurro? Frozen, con la potentissima Elsa, ha spalancato definitivamente le porte alle principesse con le palle (espressione un sacco sessista, e io l’ho scritta senza accorgermene; in trentadue anni gli stereotipi hanno risucchiato anche la mia, di liberà di linguaggio). Segue la tendenza anti-sessista tutto il mondo del cinema e delle serie tv: Netflix, re dell’intrattenimento sullo schermo, è un oceano di produzioni che fanno il tentativo – talvolta abbastanza goffo – di cancellare ogni tipo di stereotipo: stop a sessismo, grassofobia, razzismo di ogni genere e specie.
Ma se da una parte ci sono campi all’avanguardia, dall’altra parte ci sono ambiti ancora con più zone d’ombra che di luce: andare in un supermercato, reparto giocattoli, per credere. La bambina cambia il pannolino al Cicciobello e il bambino gioca con il trattore. La bambina stira, il bambino gioca con il pallone. Siamo sicuri che sia esclusivamente una questione d’indole? Io non lo sono per niente, tant’è che uno dei miei giochi preferiti da bambina era un piccolo parcheggio per auto (che fortuna avere avuto genitori liberi!).
Parliamo poi degli stereotipi del linguaggio: se sei un maschiaccio sei una tipa tosta, se sei una femminuccia sei un tipo debole. Con le palle prima ho scritto istintivamente, io che cerco di seguire il flusso della cultura femminista libera da stereotipi, per descrivere una principessa tosta.
E allora come fare per crescere dei bambini e delle bambine liberi e libere dai condizionamenti di genere (o almeno, come fare del nostro meglio)?
- Stiamo attent* a come parliamo;
- Proponiamo modelli diversi: Va bene Cenerentola, va bene Holly e Benji, ma passiamo anche oltre. Sfruttiamo la lungimiranza di chi ha trovato la formula di creare nuovi prodotti (letterari, cinematografici, artistici…) privi di stereotipi;
- Lasciamo in eredità il bene più importante: la Libertà.
Ho un’amica romana che qualche giorno fa stava al parco con il bimbo di cui si sta prendendo cura. Il piccolo si è conteso per tutto il pomeriggio il suo passeggino giocattolo con gli altri bambini al parco.
Ho un’amica libraia che ha un figlio con una fissazione: il rosa. È il suo colore preferito, se lo spalmerebbe dappertutto.
Io sono donna. Il mio colore preferito? L’azzurro. Il mio gioco preferito? Il parcheggio per auto. Eppure, lo giuro, io sono donna.
Viva i genitori liberi, viva i bambini liberi e le bambine libere!