Di Marco Nori, CEO di ISOLFIN
Era nell’aria da settimane, ma forse era persino prevedibile. Dopo anni di colloqui per stringere i legami fra la Svizzera e il mercato unico dell’Unione europea, le trattative si sono arenate quando il governo della Confederazione ha annunciato che lasciava il tavolo della negoziazione. “Stiamo aprendo un nuovo capitolo nelle nostre relazioni, speriamo che sia fruttuoso”, ha detto il presidente Guy Parmelin in una conferenza stampa, con la consueta nota ottimistica che accomuna i politici di tutto il mondo quando qualcosa va storto. I negoziati vanno male, dunque prospereremo: aveva detto la stessa cosa Boris Johnson pochi mesi fa.
Il trattato globale in discussione doveva riassumere e superare il mosaico di decine di accordi bilaterali che risalgono addirittura al 1972 e che stanno decadendo uno dopo l’altro, lasciando cittadini e imprenditori in un limbo di incertezza inusuale per una nazione come la Svizzera. I nodi principali sono la libera circolazione delle persone, l’accesso dei cittadini dell’UE alle prestazioni sociali svizzere e gli aiuti di Stato. Ma forse è l’accesso degli stranieri al servizio sanitario svizzero che è sembrato irrisolvibile perché, come ha detto il governo, potrebbe comportare “maggiori costi di sicurezza sociale” e “costituire un cambio di paradigma nella politica migratoria della Svizzera”.
“Senza questo accordo, la modernizzazione delle nostre relazioni non sarà possibile e i nostri accordi bilaterali invecchieranno inevitabilmente”, ha risposto la Commissione Europea, chiarendo che, a differenza della Gran Bretagna che ha fatto un’uscita relativamente indisciplinata dal blocco, Berna continuerà a farne parte, seppure allentando progressivamente l’integrazione.
Il ministro degli Esteri Ignazio Cassis ha ammesso che ci saranno degli svantaggi per la Svizzera, ma ha detto che l’erosione degli accordi bilaterali esistenti avverrà lentamente e “questo ci dà il tempo di reagire con misure di mitigazione”, lasciando in sospeso se stia cercando di guadagnare tempo per fare digerire le condizioni agli svizzeri o si stia preparando a vivere davvero senza un accordo con il più grande partner commerciale della Confederazione: l’UE rappresenta la destinazione del 42% delle esportazioni di merci svizzere e il 50% delle sue importazioni.
In realtà gli sviluppi saranno rapidi, molto rapidi: la mancata conclusione del trattato impedisce già alla Svizzera di accedere all’integrazione nel sistema europeo dell’elettricità, alla cooperazione sanitaria e sono scaduti ormai gli accordi commerciali per i prodotti di tecnologia medica, così importanti per l’economia della Confederazione.
La prima impressione è che non sia stato un calcolo economico, ma politico, per non perdere qualche voto alle elezioni federali in programma tra poco più di un anno. La Svizzera è un’enclave nell’Unione Europea e, pur essendo una nazione ricca di grandi aziende e di tecnologia e dalla solida organizzazione finanziaria, difficilmente riuscirà a prosperare senza un accordo di libero scambio.
La notizia, nel breve termine, non avrà alcun impatto visibile e anche per i frontalieri italiani non cambierà nulla, ma nel medio periodo per le zone di confine così come per la Svizzera ci saranno conseguenze quando gli scambi commerciali tra Berna e Bruxelles diventeranno più difficili. Se prospereremo o resisteremo in questo “splendido isolamento” lo scopriremo presto.