Birmania: la strage continua

Foto: Aung San Suu Kyi. Credit Claude TRUONG-NGOC

Mentre il Mondo combatte contro il Covid, la guerra continua indisturbata a seguire iperboli e parabole umane. La Birmania è stata travolta da un colpo di Stato militare messo in atto dalle forze armate birmane la mattina del 1° febbraio 2021 per rovesciare il governo di Aung San Suu Kyi, che è ora in prigione.  A determinare l’evento è stato l’esito delle elezioni legislative birmane del 2020 che sono state vinte, come le precedenti, dalla Lega Nazionale per la Democrazia, guidata da Aung San Suu Kyi.

A uscirne sconfitto è stato il vicino all’esercito. Nel gennaio di quest’anno il generale capo delle forze armate ha contestato i risultati del ballottaggio e ne ha chiesto la riverifica, altrimenti l’esercito sarebbe intervenuto per risolvere la crisi politica in corso. Al diniego opposto dalla commissione elettorale è scattata la rivolta. Aung San Suu Kyi e altri leader del partito al governo sono stati arrestati e detenuti dal Tatmadaw, l’esercito del Myanmar. In seguito, l’esercito del Myanmar ha dichiarato lo stato di emergenza della durata di un anno e ha affermato che il potere era stato consegnato al comandante in capo delle forze armate. A quel punto le linee telefoniche nella capitale sono state tagliate, la televisione pubblica ha interrotto le trasmissioni per “problemi tecnici” e l’accesso a Internet è stato bloccato. Nel nord di Yangon, nel quartiere di North Okkalapa è stato infatti vietato l’accesso ai media e di nascosto sono stati diffusi video di guerriglia urbana, con barricate di fortuna date alle fiamme dalla polizia e foto di giovani uccisi con colpi alla testa.

Senza contare gli arresti che in un mese sono già a quota 1.300 e che vedono vittime anche i giornalisti per reati che vanno dalla diffusione di informazioni false all’incitamento di dipendenti pubblici alla disobbedienza.

Sì, perché da ogni regime oppressivo nascono di conseguenza i movimenti di liberazione e proteste civili, che, oltre a combattere tengono viva la preoccupazione della comunità internazionale che, infatti, continua ad invitare l’esercito al dialogo. Purtroppo, che la tecnica delle relazioni diplomatiche funzioni poco con le dittature è stato dimostrato pochi giorni fa: il 3 marzo 2021 almeno 38 persone sono state uccise in diverse città nel Paese, dove la polizia fa fuoco su migliaia di manifestanti disarmati che protestano contro il golpe. Mentre su Internet i birmani implorano il mondo di aiutarli contro il pugno di ferro del nuovo regime, i militari mostrano ogni giorno di più di essere disposti a uccidere giovani innocenti pur di rimanere al potere. Sta facendo il giro del mondo l’immagine di Mandalay, la ragazza di 19 anni trafitta da un proiettile al collo, mentre indossava una maglietta con scritto «Andrà tutto bene», e la foto della suora in ginocchio che prega per fermare l’uso delle armi contro una folla inerme.

Il divario tra l’esercito e i civili è infatti enorme e questo non fa ben sperare. Il generale golpista Min Aung Hlaing non ha mai ceduto: sia con riferimento all’uso della violenza, sia a liberare i politici detenuti, a partire da una Aung San Suu Kyi. Tutto questo nonostante gli appelli di papa Francesco e le minacce di sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione europea.

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami