Carta igienica

Dicembre 2015. Il giorno precedente il mio arrivo previsto ad Atene, la polizia greca aveva trasferito 3.000 persone dal confine nord a uno stadio olimpico di Tae Quon Do nella capitale. Decisi di andarci prima di proseguire il mio viaggio per le isole.

Ottengo il permesso di accedere allo stadio tramite una cittadina greca che ho contattato tramite Facebook. Non avevo una grande simpatia per il social network prima dell’organizzazione di questo viaggio. Per ogni tappa in programma, avevo stretto contatto con almeno un gruppo di persone attive sul territorio, per lo più volontari.

All’interno dello stadio, le autorità sono diverse, alcune delle quali autoproclamate. Scelgo la mia, una guerriera greca nelle proporzioni di un elfo.

Il mio compito è aiutare ad allestire i tavoli per la distribuzione dei pasti, tre volte al giorno. Il numero di persone è così grande che al termine di un pasto si inizia a lavorare per il pasto successivo, sicché non è mai il momento di distribuire vestiti, scarpe, prodotti per l’igiene personale.

Il secondo giorno vengo avvicinata da due ragazzi che chiedono un rotolo di carta igienica. Ragazzi normali; vengono alla porta e chiedono per favore, come in campeggio. Chiedo l’autorizzazione, più per scoprire dove trovare la carta igienica nella parte di stadio adibita a magazzino che non perché davvero ritenga di doverne chiedere il permesso.

– A quest’ora non distribuiamo carta igienica; di’ loro di tornare alle 2.

Sono le 10 del mattino; dire a qualcuno di aspettare quattro ore per andare al bagno è qualcosa che non avevo contemplato. Indosso una gentilezza ebete e comunico il messaggio, che naturalmente è accolto con un misto di stupore e imbarazzo. Perché sono maschi, perché qui non esistono bidet (forse una decina di docce per tremila persone), perché i bagni puliti sono riservati ai volontari. E quindi l’assenza di carta igienica non è poca cosa.

Torno a chiedere. Cammino in bilico tra due mondi, quello del buon senso e uno senza nome, fatto di regole nude e rigide, a me del tutto nuovo. Cerco una via di uscita, ma non so dove trovare la carta igienica; e nessuno sa o vuole aiutarmi. Spiego ai ragazzi; sono desolata.

Per favore, insistono, non hai idea dello stato dei bagni.

Cerco, non trovo.

Mi dispiace.

E loro si allontanano; senza rabbia, solo un po’ più piccoli.

In un angolo del cortile, i miei occhi vomitano lacrime. Mi consola uno sconosciuto, un nordafricano senza documenti e senza diritti agli occhi del nostro continente, e che, al contrario di me, rispetta l’europea che gli sta di fronte.

Qualche ora più tardi, conosco ogni angolo del magazzino. Si è sparsa la voce che so indovinare le taglie di scarpe e vestiti. Processioni di persone sono perennemente in fila alla porta di servizio. E io non aiuto quasi più ad allestire i tavoli dei pasti.

“Libertà”, olio su tavola, di Hussein Al Nasser. Hussein vive in Austria, dove la sua richiesta di asilo è stata respinta. Da cinque anni il suo passaporto è nelle mani delle autorità austriache: non può lasciare la nazione che non vuole ospitarlo né ha il permesso di restare. Ex giornalista, ha lasciato l’Iraq per non piegarsi alle restrizioni alla libertà di stampa.
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