Che fine ha fatto Beppe Grillo?

La domanda mi è stata rivolta da uno dei miei figli qualche giorno fa e neanche a farlo apposta poco tempo dopo è apparsa su un quotidiano importante una sua foto di fronte alla recinzione di un cantiere. Una foto un po’ melanconica, a dire il vero, con lui in piedi che guarda gli operai lavorare, come se si trattasse di un qualsiasi pensionato giunto ormai a una certa età e con parecchio tempo libero.

Le riflessioni che emergono da questo semplice episodio sono tante a mio parere e provo a illustrarne tre pur presentandole come opinioni del tutto personali e non necessariamente rappresentative della linea editoriale del nostro Corriere.

Avendo fatto il medico tutta la vita, la prima riflessione è ovviamente che si fa presto a dire “Vaffa” ma che bisogna anche sapere che al coronavirus non basta dire “Vaffa” come non basta dirlo in tantissime altre situazioni della vita e della società per pensare di risolvere i problemi.

Una delle poche (o molte) cose buone che ci ha portato la pandemia è senza dubbio il ritorno dell’apprezzamento per la competenza. Nelle condizioni di emergenza, e comunque in generale nello sforzo enorme che occorre fare per vivere bene in società, serve molto poco chi urla e insulta.

Serve chi sa guidare un’ambulanza in modo sicuro e veloce, chi sa infilare un tubo in gola a chi non riesce più a respirare, chi sa resistere in piedi tutta la notte iniettando i farmaci giusti e alle dosi giuste. Serve chi sa ricostruire il ponte di Genova, chi sa bene l’inglese e può mantenere i contatti con il resto del mondo, chi sa di economia e può andare a Bruxelles a discutere i prestiti UE. E serve anche chi è capace di guidare un aereo silenzioso e discreto, con un piccolo tricolore sulla coda, per riportare a casa Silvia Romano da Mogadiscio.

La seconda riflessione è che il fatto di urlare in sé è evidentemente un sintomo pericoloso. Noi dovremmo saperlo. Noi che abbiamo già avuto uno che gridava dal balcone di piazza Venezia, che sfidava le “democrazie plutocratiche occidentali”, come poi ancora qualche mese fa il signor Salvini tuonava contro i burocrati di Bruxelles. Gli inglesi hanno avuto anche loro il signor Farage che urlava che la UE gli rubava i soldi e che bisognava votare la Brexit per uscirne: oggi l’Inghilterra ha più morti di COVID di noi e la Spagna – non ha neppure gli aiuti da Bruxelles, perché ha seguito l’urlatore. Il quale, naturalmente, nel frattempo è sparito. Che fine ha fatto Farage?

Chi urla, quindi, dovrebbe insospettirci già solo per il fatto che si comporta così. Chi sa, chi sa fare, decidere, operare, guidare non ha bisogno di urlare e infatti non urla. Mi sembra interessante che, dopo anni di “Vaffa” urlati da Grillo, oggi il candidato più gettonato alla guida del Paese (anche dal signor Salvini) sia quel Mario Draghi di cui si conosce solo la firma sugli euro, perché ha guidato nientemeno che la banca europea, ma pochissimi hanno sentito la sua voce.

La terza e ultima riflessione è comunque positiva. Bisogna dare atto infatti a Beppe Grillo di aver saputo fermarsi in tempo. A differenza di altri suoi colleghi comici diventati politici, come Donald Trump, Boris Johnson e il brasiliano Bolsonaro, Grillo non ha mai chiesto di essere lui a guidare il Paese, evitando così la trasformazione da comico a tragico. Ha detto tanti “Vaffa”, è vero, ma poi ha mandato avanti gli altri ed è rimasto in teatro. Oppure si è dedicato ai suoi resort di Malindi, che dall’Italia distano migliaia e migliaia di chilometri.

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