Chi paga la transizione energetica?

di Marco Nori, CEO of ISOLFIN

Negli ultimi mesi la transizione energetica ha scalato l’agenda di tutti i media. I target di sostenibilità si sono ricorsi e gli investimenti sono imponenti, rendendo viabile questo processo. Gli annunci sono roboanti: la Cina si impegna a diventare energeticamente neutra per il 2060, gli Stati Uniti per il 2050, così come l’Argentina, si è detto al Climate Ambition Summit. E tuttavia si levano voci che lo stesso Climate Ambition Summit si sia concluso con eccezionali promesse sul futuro di lungo periodo ma pochi impegni misurabili nel breve periodo. Più concreta è stata l’Unione Europea con un obiettivo di tagli di almeno il 40% nelle emissioni di gas serra (dai livelli del 1990) entro il 2030, quindi un medio periodo. Ma è già in ritardo.

L’opinione pubblica è – giustamente – schierata a favore di questa transizione. Non è demagogia ripetere la frase fatta che “ne va del futuro dei nostri figli” perché è esattamente così, ma pochi si fermano a riflettere su quale costo economico comporti questa transizione e, elemento non trascurabile, chi lo paghi.

Paradossalmente la crisi economica indotta dalla pandemia (e tenuta a bada dal palliativo delle iniezioni di liquidità a debito), è un fattore che può aiutare molto questa transizione. Servono grandi investimenti per sostenere le aziende e allora tanto vale farli per una buona causa, sembrano dire i governi. Però sono soldi presi a prestito e in un’Europa a bassa spinta inflazionistica, queste cifre peseranno per decenni. Insomma, se per i nostri figli salviamo il pianeta, però glielo lasciamo però in eredità gonfio di debiti – debiti che si sommano a quelli della precedente crisi del 2008. Difatti, tranne per la Germania che era vicina a rientrare nel rapporto debito/PIL del 60%, quasi tutti gli altri Paesi non hanno mai abbassato quella curva, continuando a impilare miliardi su miliardi di debito pubblico.

L’aumento più visibile dei costi per le famiglie sarà nella bolletta energetica. L’energia pulita costa di più, è un fatto, e ci sarà bisogno che i privati prendano in conto questo fattore – e che i governi prendano a loro volta in conto che alcune famiglie non possono permetterselo e devono essere sostenute. Una ricerca del 2019 del UK Energy Research Centre nel Regno Unito ha trovato che c’è una certa disponibilità a vedersi aumentare la bolletta intorno al 9-13% in cambio di una responsabilizzazione per le tematiche della sostenibilità, ma ha anche segnalato una profonda diffidenza nei confronti delle aziende energetiche viste come dedite solo al profitto. 

Un fattore importantissimo e meno visibile saranno i prezzi, e intendo i prezzi di tutto. La produzione industriale usa enormi quantità di energia e ogni minima fluttuazione nel costo dell’energia si riversa nel prezzo finale pagato dal consumatore. Anche in questo caso, una campagna di sensibilizzazione sarà cruciale e moltissimi marchi stanno lavorando in questa direzione da anni, con un elaborato discorso di marketing che associa i loro prodotti alla responsabilità ambientale. E un po’ di inflazione potrebbe giovare e rimettere in moto il meccanismo, ma anche quello sarà un costo nella vita quotidiana di tutti.

Per fortuna non si parla solo di costi. La qualità dell’aria e la salute del pianeta non hanno prezzo, ma le cure delle patologie legate all’inquinamento hanno un prezzo, decisamente molto alto, che può essere risparmiato dai servizi sanitari di tutto il mondo. Secondo l’OMS, nel 2010 in Europa il costo economico delle morti premature e delle malattie causate dall’inquinamento, è stato di 1.600 miliardi di dollari. Praticamente un decimo del prodotto interno lordo (PIL) di tutta l’Unione europea nel 2013. Insomma, l’energia inquinante costa meno nel breve periodo ma, guardando il big picture, è più cara di quella rinnovabile. Un raro e piacevole caso di win-win che i governanti potranno mettere a bilancio.  Ed è qui che si gioca la partita macroeconomica che i governi del mondo potrebbero vincere: spendere molto oggi per spendere meno domani. Vedremo se saranno – e saremo – all’altezza.

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