Cittadini del mondo: l’imprevedibile energia settuagenaria

Siamo in un assolata e calda Roma estiva. Tre settantenni, Attilio, Giorgetto e il Professore passano le loro sonnacchiose giornate tra il bar e l’ufficio postale dove ritirano una magrissima pensione. La noia domina le loro vite e un desiderio di riscatto inizia a palpitare in loro. Ed è allora che decidono: devono partire, non importa per dove, basta che sia un luogo lontano lontano. Dove magari godersi finalmente il meritato riposo.

Il regista ci immerge ancora una volta nell’ironica quiete della vita, sempre raccontata nelle sue opere con divertita mitezza; guidando questa volta lo sguardo dello spettatore verso un tema poco affrontato dalla settima arte: la situazione pensionistica. Ed ecco che il cinema di Gianni Di Gregorio vira verso un sottotesto critico-sociale, tra sportelli delle poste mal gestiti e infinite pratiche burocratiche; in un’Italia cui la condizione degli appartenenti alla terza età è grave, in continuo deperimento e rotola inesorabilmente verso l’indigenza. Ma sempre utilizzando una sottile bonarietà questo tragico contesto viene commentato con grazia e sottile ironia.

Questo peculiare modo di narrare è tipico della filmografia del regista. L’apice drammaturgico nelle sue opere a volte manca addirittura del tutto, seguendo una specifica cifra stilistica che così viene commentata dall’autore: ‘Forse è la mia natura, il mio carattere. Io ho paura della violenza e del dolore. E quindi faccio fim parlando sempre della parte buona dell’uomo. Non sono in grado di rappresentare il dramma e la morte, perché in fondo sono un comico e qualunque elemento drammatico verrebbe fuori involontariamente buffo’. Questa mite quiete rischia però alla lunga di stancare, dilungandosi in scene riempitive che rompono totalmente il ritmo del film.

La narrazione si disperde in sottotrame sterili che rubano minutaggio ad altre più interessanti e centrali ma non ben approfondite. Prima tra tutte la vicenda di Abu, interpretato dall’esordiente Salih Saadin Khalid, ragazzo arrivato dal Mali dopo una lunga e faticosa odissea e amico di Giorgetto che lo ospita saltuariamente. È proprio con il suo personaggio che viene introdotto forse il messaggio più profondo e inaspettato della pellicola. Con una deliziosa modestia i tre anziani si fanno da parte e ripongono nel cassetto le loro ambizioni per supportare il sogno di un giovane. Di Gregorio riesce dunque a essere più fresco e innovativo di molti suoi più giovani colleghi, dimostrando ineccepibile maturità.

Oltre ai tre protagonisti, un importante personaggio della vicenda non è una persona, bensì la città stessa. Ambientato in una fulgida Roma estiva, idilliaca e sempre bagnata dal sole, il film si articola tra gli stretti vicoli pittoreschi di Trastevere e luoghi di periferia come Tor Tre Teste. La capitale viene immortalata dal regista romano in una maniera del tutto particolare. Non sono presenti i soliti scorci quasi da cartolina, diffusissimi tra i registi stranieri che cercano invano di rappresentare l’anima della Città Eterna. Rappresentata da un suo cittadino, chiaramente innamorato della propria città, Roma viene ritratta con sincerità e chiarezza, senza né pregi né difetti.

Questo cinema è talmente innamorato dei propri luoghi che, come afferma il regista stesso: ‘È un grande privilegio essere nato e cresciuto a Trastevere, però al contempo è anche una disgrazia, perché il mio cinema non riesce a uscire da lì, sono prigioniero. Perché è romano e i romani sono un po’ così’.

Ma con Cittadini del mondo, Gianni Di Gregorio tenta innanzitutto di valicare confini, mentali e geografici, aprendo la mente e ampliando le proprie vedute. E ci riesce mantenendo il suo personalissimo stile.

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami