Clima e innovazione. Ecco come ricaviamo acqua dall’aria

UN’AZIENDA DEL TICINO HA SVILUPPATO UN SISTEMA ALL’AVANGUARDIA

di Cristina Penco

Una grave carenza idrica a livello mondiale del 40% entro il 2030. È quella che potrebbe affrontare il mondo, per il riscaldamento globale e l’aumento dei consumi e per gli inquinamenti ambientali industriali, alla fine del primo ventennio del XXI secolo, come hanno segnalato Greenpeace e numerosi enti globali. Già oggi almeno 80 milioni di persone non hanno accesso ad acqua potabile. Si stima inoltre che, ogni anno, siano circa 3,4 milioni i morti per mancanza o inquinamento dell’acqua. Abbiamo intervistato l’ingegnere Rinaldo Bravo, direttore di SEAS (Société de l’Eau Aérienne Suisse) SA, con sede a Riva San Vitale, in Canton Ticino. L’azienda progetta e realizza macchine e impianti per produrre, partendo dall’aria, acqua potabile di elevata qualità a uso umano, industriale (acqua distillata), agricolo per fattorie verticali e serre e per svariati altri utilizzi.

È una sfida su più livelli – tecnologico, culturale, ambientale ed economico – quella che SEAS sta affrontando dal 2014, anno della sua nascita. La società ha sviluppato applicazioni, soluzioni e sistemi dedicati alla produzione di acqua di alta qualità catturando e trasformando l’umidità presente nell’atmosfera, con un approccio green. Allo stesso tempo, l’energia termica prodotta grazie al know how SEAS, recuperata e riutilizzata per ridurre i consumi dei sistemi di riscaldamento e condizionamento, crea un elevato risparmio energetico consentendo un notevole ritorno sull’investimento, in modo tale da agire con consapevolezza e sensibilità ecologica. L’offerta si rivolge a consumatori domestici e alle comunità locali che abitano in aree prive di un approvvigionamento affidabile di acqua pulita, in luoghi dove non vi sono altre fonti, dove esse sono scarse o, ancora, dove la risorsa è inquinata. SEAS, inoltre, fornisce a hotel, resort e campeggi acqua autoprodotta potabile per il personale, la clientela e la cucina, acqua calda per uso sanitario, aria fresca e riscaldamento dell’acqua sanitaria, di quella della piscina e delle aree benessere. E, ancora, dispone di macchine per la creazione di acqua, con caratteristiche controllate, esente da minerali, utilizzabile in ambito ospedaliero con apparecchi dedicati alla dialisi, sanificazione, pulizia ospedaliera e umidificazione ambientale. In aggiunta, l’azienda è operativa nei settori dell’energia, minerario e delle costruzioni e in generale per alloggi per la forza lavoro a distanza (es. giacimenti petroliferi in acque profonde e onshore, operazioni minerarie, cantieri, ecc.), presenta soluzioni per la pulizia di pannelli solari in grandi campi fotovoltaici realizzati in aree remote e altre per la pulizia e il raffreddamento di macchinari pesanti (ad es. compressori per giacimenti petroliferi e condutture). I sistemi SEAS possono essere alimentati da energia rinnovabile fotovoltaica o eolica, generatori elettrici o sistemi di rete elettrica convenzionali. Ecco che cosa ci ha spiegato l’ingegnere Rinaldo Bravo, direttore SEAS.

Da dove è nata l’idea innovativa alla base dei vostri progetti?
«Il concetto di deumidificazione esiste da tempo, ma così come è conosciuto presenta limiti notevoli: è difficile che il processo abbia luogo a una temperatura inferiore ai 25° C e al di sotto del 40% di umidità. Questo, dunque, fa sì che essa venga attivata soprattutto all’interno anziché all’esterno, e solo finché serve, mentre noi, per i nostri clienti, dobbiamo essere operativi 24 ore su 24 per produrre acqua qualunque sia la condizione esterna. L’intuizione di SEAS è tutta qui e ruota attorno a una tecnologia che si fonda ancora sulle teorie di Leonardo da Vinci. Consiste, nello specifico, nello studio di un’elettronica e di circuiti meccatronici tali da far lavorare le nostre macchine da 5 °C a 55° C, indipendentemente dall’umidità presente, estraendo sempre il 60% di quella che è nell’aria. I nostri sistemi lo fanno con un consumo energetico ridotto – e continuiamo a lavorarci per ridurlo ulteriormente – in modo tale da ottenere anche un ritorno economico dal recupero energetico, capace di cancellare il costo dell’acqua. Dunque, si verifica un ricircolo all’interno delle nostre macchine, possibile attraverso un’elettronica di altissimo profilo».

Non saranno mancate le criticità, soprattutto all’inizio. Quanto avete impiegato per superarle?
«Siamo attivi da sette anni. I primi tre anni e mezzo sono stati molto difficili proprio perché dovevamo spiegare tutto quanto a partire dalle fondamenta. Abbiamo una proprietà e degli investitori importanti internazionali, desiderosi di investire in nuove tecnologie. Chi ha scommesso dal principio su di noi sapeva da subito che si trattava di un’attività a medio-lungo termine, e che non avrebbe dato risultati immediati. Nell’ultimo triennio, poi, è cambiato considerevolmente il mondo in cui viviamo. Che l’acqua sia una fonte importante e inesauribile ora è una conoscenza consolidata. Ci ha aiutato molto l’accresciuta attenzione al green. Quello che manca adesso è la spinta finale a utilizzare gli investimenti. Occorrerà ancora un po’ di tempo affinché l’interesse, comunque crescente, si traduca in ordini diffusi. Ma, sempre di più, le organizzazioni, le industrie e i privati con disponibilità economiche iniziano a essere veri e propri clienti».

Lei ha una lunga esperienza alle spalle in questo settore. Che cosa ha notato rispetto alla percezione e alla sensibilità nei confronti del cosiddetto “oro blu”?
«
Esistono molte aree, su scala globale, in cui c’è poca acqua, ma non solo: quella presente raramente è buona, sia per qualità naturale, sia per inquinanti o a causa di una distribuzione complessa. Per contro, in Svizzera, come in Italia e in Francia, ci sono acque eccezionali. Un aspetto che sta parzialmente cambiando è l’attenzione esagerata al costo che, in molti casi, andava oltre la sostenibilità e la sicurezza alimentare. In Texas, per esempio, per lavare i pannelli solari, fino a poco tempo fa preferivano rifornirsi con due tir al giorno di acqua perché costava un po’ meno, depauperando però i pozzi locali. Adesso, tuttavia, i costi sono un po’ aumentati e le cose stanno cambiando. In Sudafrica ci sono stati attentati a ingegneri locali perché andavano a prelevare acqua alle comunità locali per cui la risorsa è fonte primaria di sopravvivenza. C’è, insomma, una parte di mondo che considera l’acqua in modo troppo leggero. E questo ha comportato problemi non di poco conto. Anche nei paesi occidentali ancora oggi usare per scopi industriali acqua di falda di laghi e fiumi sottraendola all’uso umano, e spesso restituendola inquinata, è un lusso e uno spreco. Usare acqua creata dall’aria permetterebbe di diminuire l’inquinamento, avere una fonte rinnovabile e aumentare la sicurezza alimentare».

Operate anche in contesti privati?

«Sì, per esempio, in una villa in Costa Azzurra, una nostra macchina provvede a fornire acqua e riscaldamento a una piscina, al sistema di irrigazione e alle docce esterne, senza andare a intaccare acqua di falda. Un’altra nostra soluzione è a Roma, in una palazzina di 32 appartamenti: chi abita in quel complesso non ha più bisogno di comprare bottiglie di plastica, con vantaggi economici e ambientali. Inoltre il nostro sistema garantisce anche acqua calda e aria raffrescata. Stiamo, infine, partendo con un progetto per un’azienda a Vicenza, in una zona caratterizzata da un forte inquinamento di PFAS, per fornire una soluzione integrata alternativa per la distribuzione dell’acqua minerale ed evitare, così, l’uso delle bottiglie in plastica».

Per quanto riguarda il ritorno del vostro lavoro sul territorio dove avete sede, quello elvetico?

«Fino allo scorso anno la Svizzera, come del resto altri Paesi, ha culturalmente sottovalutato la necessità di avere una fonte di acqua non da falda, ritenendo – anche giustamente – di avere grandi disponibilità idriche. Tuttavia, da qualche mese, la siccità suscita più preoccupazioni. Negli ultimi anni SEAS sta lavorando soprattutto con la Protezione Civile, in zone dove l’infrastruttura è carente. Su un’area complessa come Crans Montana, nel Canton Vallese, stiamo studiando, con un nostro partner svizzero, una soluzione di ricerca per una tecnologia diversa da quella che usiamo oggi per estrarre l’acqua anche a bassissime temperature, in presenza di umidità».

In Namibia collaborate da tre anni con la Fondazione HumaCoo. Oltre a riqualificare la Hungua Primary School, trasformata in un campus scolastico, il progetto prevedeva anche l’introduzione di una tecnologia di conversione dell’aria in acqua per avere accesso diretto a 2.500 litri d’acqua potabile al giorno. Altri piani in ambito umanitario?
«Il passo successivo, in Namibia, sarà quello di formare delle persone del posto, insegnando loro a usare le nostre macchine. Poi, con la Fondation Prince Albert II de Monaco, da un anno e mezzo siamo presenti con uno dei nostri sistemi all’interno di un ospedale del Burkina Faso. Si tratta dell’ex padiglione del principato monegasco di Expo 2015, smontato al termine della manifestazione e riutilizzato nel paese africano come sede della Croce Rossa locale».

Nuove iniziative?
«Stiamo studiando soluzioni per yacht o barche medio-grandi che possa costituire un’alternativa ai due sistemi in uso attualmente, ovvero da una parte i desalinatori, che però inquinano il mare e non danno la qualità di acqua che ci si aspetterebbe, e, dall’altra, pallet di acqua minerale in bottiglie di plastica, a loro volta dannose per l’ambiente  Stiamo lavorando su macchine parzializzate, con vari nuclei che devono essere inseriti a bordo, in modo da produrre acqua da bere di alta qualità. Contiamo di presentare la novità entro fine anno al Salone di Cannes in modo da procedere successivamente con dei test sulle imbarcazioni. Per quanto riguarda la nostra espansione all’estero (Paesi arabi del Golfo, Stati Uniti, Centro e Sud America, Australia…) puntiamo a consolidare ulteriormente la nostra presenza».

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