Clima: l’offensiva delle organizzazioni ecologiste

L’ondata di caldo africano, con temperature altissime ovunque in Europa, é senza dubbio l’argomento che più di tutti ha fatto parlare di sé in quest’ultima settimana. Il termometro ha segnato oltre 40° C in Francia. Ma anche in Germania, Italia, Spagna (nel nord la colonnina di mercurio ha toccato i 44°C), Svizzera, Belgio e altre nazioni, sono stati infranti i record di caldo assoluto per il mese di giugno.

Eppure, la scienza ha lanciato da tempo ripetuti allarmi, invitando l’umanità e i governi ad una sterzata radicale in fatto di politiche ambientali; ma per dirla con Isaac Singer “quando il pastore è cieco il gregge si disperde”. L’accordo di Kyoto per contrastare il riscaldamento globale – sottoscritto l’11 dicembre 1997 ma entrato in vigore solo il 16 febbraio 2005 – e il nuovo accordo stipulato alla «Conferenza sul clima» tenutasi a Parigi nel 2015, non hanno fatto registrare i progressi per la riduzione delle emissioni globali di gas serra, nonostante l’accordo di Parigi preveda meccanismi giuridicamente vincolanti a livello internazionale per ridurre sotto i 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto all’epoca preindustriale. Per il raggiungimento degli obiettivi nella scansione temporale prevista, occorre che i Paesi più inquinanti al mondo – Cina, USA, India e paesi industrialmente ed economicamente emergenti – facciano la loro parte nello spirito dell’accordo di Parigi. Ma la realtà ci dice che gli interessi delle multinazionali, gli egoismi dei poteri nazionali e lo scetticismo dei “negazionisti” prevalgono sulla preoccupazione “comune” per il futuro del Pianeta e dell’umanità.

Le riduzioni di emissioni in Svizzera

In queste ultime settimane il dibattito sulle politiche per il contrasto alle emissioni di gas serra è diventato rovente su più fronti anche in Svizzera, dove le politiche ambientali hanno una tradizione blasonata e le organizzazioni ecologiste sono numerose ed agguerrite. Oggetto della contesa è il corposo testo (40 pagine) dell’Ordinanza sulla riduzione delle emissioni di CO2 emanata dall’amministrazione per rendere esecutiva la “Revisione della Legge federale sulla riduzione delle emissioni di CO2”, approvata dal Parlamento nel mese di marzo. Tra gli addetti ai lavori, più che negli ambienti politici, il malcontento è evidente e la procedura di concertazione messa in atto dall’amministrazione federale lo ha reso palese.
Le organizzazioni ecologiche contestano nella fattispecie l’allineamento della Svizzera alla prassi europea, valutando negativamente i risultati conseguiti dal sistema UE nella lotta alle emissioni dell’industria e dell’intero comparto dei trasporti aerei. Coerentemente, quindi, chiedono l’istituzione di un monitoraggio permanente che dovrebbe spingere l’Assemblea federale a intervenire con nuove misure qualora le immissioni inquinanti nell’atmosfera da parte dei “grandi emittenti” non diminuiscano in conformità con l’Accordo di Parigi.
Inoltre, le principali organizzazioni ecologiste contestano le line essenziali della nuova Ordinanza federale, che stimano inadeguata soprattutto in tre punti: a) la validità di un solo anno; b) come strumento normativo non produrrà riduzioni comprovate di CO2; c) l’adeguamento all’art. 131 ammorbidisce addirittura l’attuale obiettivo di una riduzione del 20% delle immissioni entro il 2020.
Va sottolineato che fino ad ora vi era una distinzione netta fra Svizzera ed estero negli obiettivi per la riduzione del CO2, mentre ora la revisione della legge introduce una sorta di scappatoia: l’obiettivo di riduzione delle immissioni in Svizzera potrà usufruire di un “bonus” fino a -20% tenendo conto delle riduzioni conseguite all’estero. Come dire, se in Germania l’aumento dell’energia eolica contribuirà a ridurre sensibilmente le immissioni provocate dalle centrali a carbone fossile, il surplus risultante dai certificati delle emissioni può essere ascritto alla Svizzera, in misura massima del 20%, qualora un’impresa svizzera acquistasse il diritto dalla emittente risparmiatrice tedesca. Per cui ne risentirebbe concretamente l’impianto normativo per il conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Su un altro versante del cambiamento climatico, vi è da registrare l’offensiva del Partito Socialista verso i colossi bancari – UBS, Credit Suisse e persino la Banca Nazionale Svizzera – accusati di fare affari in disaccordo con le politiche ecologiche, con il rischio di essere coinvolti in una crisi simile a quella del sisma bancario di dieci anni fa. Il PSS ha messo sotto la lente d’ingrandimento, denunciandoli, i consistenti investimenti nell’energia fossile fatti dalle predette banche, nettamente contrastanti con il concetto di una piazza finanziaria orientata ad un’economia ecosostenibile e lontana dalle ecomafie.
Sullo sfondo di questa querelle, con minacce nemmeno tanto velate da parte del PSS di agire con proposte di legge in Parlamento, si profila all’orizzonte la votazione sulla “Iniziativa popolare per multinazionali responsabili”, presentata nell’ottobre 2016 da oltre 120mila sottoscrittori. Un’iniziativa respinta senza controproposta dal Consiglio federale; un passo errato a cui ha tentato di rimediare la Camera bassa con una controproposta presentata nella sessione estiva 2018, temendo una campagna elettorale tutta contro l’economia e probabilmente vincente. Nel caso in cui nella sessione autunnale 2019 non vi sarà una controproposta del Consiglio degli Stati, che ha ora il pallino in mano, il voto sull’iniziativa avrà luogo in febbraio o maggio 2020, in un clima che vede l’onda verde avanzare in Svizzera e in tutta l’Europa.
Intanto le organizzazioni ecologiste stanno chiamando a raccolta sostenitori e simpatizzanti per la grande Manifestazione per il clima che andrà in scena il 28 settembre prossimo, a Berna.

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