Come vivere ‘da poveri’ in Svizzera?

Sempre più poveri. In Svizzera, cresce il numero di pensionati, disoccupati ma anche della gente ‘comune’ che, per arrivare a fine mese, deve tagliare sui beni di prima necessità come cibo, vestiti, prodotti per l’igiene, elettricità, telefono, trasporti, prodotti sanitari e spese per la casa. Ecco come!

Oltre l’8% della popolazione svizzera è povera, cioè guadagna meno di 2’259 franchi al mese, e il 3,5% dipende dagli aiuti sociali. Per una volta, l’Italia con il 7,7% di poveri fa dunque meglio della Svizzera, ma è ovviamente un dato di cui c’è ben poco da vantarsi. Negli ultimi anni la povertà nella Confederazione è aumentata del 20% e negli ultimi dodici mesi il dato è cresciuto di 0,7 punti con un balzo di quasi il 10%. Tra i poveri, poi, l’1% vive in una grave situazione di deprivazione materiale, il che significa non poter permettersi di pagare, tra l’altro, riscaldamento, affitto, e abbonamento telefonico.

La condizione di povertà tocca pensionati, famiglie monoparentali o numerose, oppure chi è reduce da un divorzio; e poi le persone ‘sole’, chi non ha particolari qualifiche e chi è disoccupato. Ma non solo. Studenti e professionisti, soprattutto con contratti temporanei, devono anch’essi fare i conti per sbarcare il lunario. Non è dunque necessario vivere ai margini della povertà per percepire ‘lo stress’ economico di vivere in Svizzera.

Anche per coloro che hanno un lavoro mediamente retribuito, non solo arrivare a fine mese può essere una sfida, ma perfino il risparmio diventa difficile. Il caso dell’assicurazione sanitaria esemplifica come le persone a basso reddito siano spesso costrette a spendere molto di più del necessario: l’aumento costante dei premi dell’assicurazione malattia per l’assicurazione di base obbligatoria, ci costringe a cofinanziare prestazioni di cui potremmo fare a meno, come ad esempio omeopatia, agopuntura, i massaggi tradizionali cinesi e i costi per fissare le complicanze dopo un intervento di chirurgia plastica. Visite dentistiche e ottiche, però, non sono coperte dall’assicurazione. Meglio prendersi ben cura dei nostri denti!

Secondo i dati di un rapporto pubblicato recentemente dall’OCSE, la Svizzera detiene il secondo tasso di titolari di un dottorato su 36 Paesi presi in considerazione. E se un’educazione di livello terziario – scuole universitarie o formazioni professionali superiori – è la chiave per trovare un lavoro, studiare costa! Non sono solo le tasse universitarie a toccare cifre elevate, seppur con differenze cantonali sostanziali; da considerare è anche il costo della vita, delle serate ‘fuori’, dei caffè al bar, degli ingressi al cinema… Per fortuna le “student cards” sono sempre più numerose, ma di poco aiuto per chi studia e ha già una famiglia a carico.

Per risparmiare, cresce il numero di coloro che riducono il costo del pranzo, evitando mense aziendali e ristoranti, ma preparando da casa dei sandwich e bevendo, perfino, caffè istantaneo con un risparmio che supera i 60 franchi al mese. Se si riesce ad essere molto organizzati, non è nemmeno necessario ‘tagliare’ troppo negli spostamenti con i trasporti pubblici. È vero che viaggiare – a prezzo pieno – costa parecchio e più che in passato. Un viaggio in treno da Berna a Zurigo, ad esempio, costa 51 franchi – 20 franchi in più rispetto all’inizio degli anni Novanta. Tuttavia le Ferrovie Svizzere mettono a disposizione alcuni biglietti a prezzo ridotto, che se presi per tempo, comportano un notevole vantaggio. Ad alzarsi è però lo stress di dover organizzare tutti gli spostamenti al dettaglio con largo anticipo!

Stare attenti al proprio budget mensile in Svizzera significa anche scegliere il modello più economico per l’assicurazione malattia, con la franchigia più alta possibile. Questo significa che si paga meno mensilmente alla cassa malati ma i primi 2000 e oltre franchi di spese sanitarie sono a carico del paziente. Meglio tenersi in forma, sperando che aiuti ad andare il meno possibile dal medico. Se non fosse che, è cosa ben nota, quando bisogna ‘fare dei tagli’, tra i poveri, ad essere tagliati sono proprio i prodotti per l’igiene e i prodotti sanitari, e poi “cibi sani”, ma cari. Un esempio – certo un po’ estremo – ma pur sempre vero: al supermercato Migros, 750 grammi di patatine fritte surgelate costano poco meno di tre franchi, mezzo chilo di quinoa bio costa quasi sette franchi!

Certo, nei negozi alimentari è possibile acquistare prodotti budget, ovvero a buon mercato. L’aspetto positivo è che fare la spesa diventa più veloce, perché non si deve riflettere troppo quale dei numerosi tipi di yogurt, cereali o biscotti non-budget comperare. Un aspetto negativo, invece? La monotonia dei prodotti consumati.

Esistono vari modi per risparmiare anche in termini di vestiario, non solo aspettando i saldi – perché alla fine non rimane mai nulla della propria taglia – ma facendo acquisti online dai siti che permettono di restituire quanto comprato se la misura non risulta essere quella giusta. Va perso comunque quel piacere del ‘fare shopping’, che trova, secondo una ricerca degli scienziati della Carnegie Mellon University (Pennsylvania), della Stanford University (California) e del MIT Sloan School of Management (Massachusetts), un’area dedicata nel nostro cervello!

Vivere da poveri in Svizzera, tutto sommato, si può. Ma comporta un buon livello di stress, sempre alla ricerca dei prezzi più bassi, di cosa ‘tagliare’, dove risparmiare e come. Un ‘mal vivere’ che, ora lo sappiamo anche grazie agli studi di  Robert M. Sapolsky della Stanford University, modifica cervello e comportamento: ha effetti negativi sull’ippocampo, che presiede all’apprendimento e alla memoria; sull’amigdala, causando reazioni di paura e ansia; sul sistema dopaminergico mesolimbico, legati ai sistemi di ricompensa, aspettativa e motivazione; e sulla corteccia prefrontale, che è indispensabile per la pianificazione a lungo termine.

Ne scaturisce una riflessione – che lasciamo in altra sede – sulla miseria, senso di solitudine, angoscia, stress e ansia, problematiche fortemente correlate alle disuguaglianza sociale e povertà; un riscatto per il singolo (non è tutta colpa sua, se è triste e depresso); e la questione della responsabilizzazione ‘del sistema’ socio-economico.

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