Cosa è il capitalismo inclusivo e come può essere un win-win per aziende e consumatori

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN e Steward del Council

Nel 2014 un saggio di economia di un migliaio di pagina salì a sorpresa al primo posto della classifica del New York Times: Il capitale nel XXI secolo. Il volume – scritto da Thomas Piketty e pubblicato in Francia dalle Éditions du Seuil nel 2013-  tratta dell’ineguaglianza della distribuzione della ricchezza e condensava una poderosa analisi in una breve formula: r>g, dove “r”, cioè i dividendi sul capitale, rende più di “g”, cioè più della crescita economica, cioè del lavoro, asserendo che i capitali tendevano ad autorigenerarsi e accentrarsi nelle mani di pochi. Il successo di un libro così tecnico prese molti di sorpresa e trasformò il suo autore, Thomas Piketty, nella prima economy-star del mondo.

Il motore di quel successo era un sentimento condiviso a molti livelli, cioè che il capitalismo stesse raggiungendo – e superando – i limiti che lo rendevano un sistema economico produttivo ed efficace e degenerasse in un’oligarchia. Moltissime voci si alzano da decenni contro il capitalismo, ma poche si sono fatte sentire nientemeno che dal Vaticano, che ha deciso di appoggiare un’associazione chiamata Council for Inclusive Capitalism, che non si propone di abbattere il capitalismo ma di trasformarlo, di mettere la sua capacità di produrre ricchezza al servizio di una moltitudine.

L’organizzazione si propone di promuovere un capitalismo che sia sostenibile, equo e inclusivo, che metta al centro le comunità con cui interagisce. L’idea di fondo, promossa fra i primi da Papa Francesco, è la necessità di creare modelli economici più inclusivi ed equi al fine di consentire a ogni persona di aver parte delle risorse di questo mondo e di poter realizzare le proprie potenzialità. La fondatrice e managing partner, Lynn Forester de Rothschild (che, tra l’altro, ha studiato in Svizzera, a Ginevra), ha riassunto lo spirito con poche ed efficaci parole: “il capitalismo ha creato un’enorme prosperità globale, ma ha anche lasciato troppe persone indietro” e propone alle aziende di unirsi e di prendere impegni concreti e misurabili che migliorino la vita delle persone. La lista di questi impegni e i firmatari sono disponibili sul sito (www.inclusivecapitalism.com/).

Il 2020 è stato l’anno in cui è tornata prepotente l’attenzione sulla sostenibilità ambientale, merito della liquidità promessa alle aziende per sostenere l’economia e rimettere in carreggiata le loro attività in modo che non distruggano il pianeta. Non è un caso se nello stesso anno è nato anche il Council for Inclusive Capitalism, con lo spirito di riportare l’attenzione sulla sostenibilità sociale, su un modo di creare impresa e lavoro che non sia solo numeri ma persone. Moltissime persone selezionano i propri acquisti seguendo standard di sostenibilità ambientale, premiando quelle aziende che si impegnano per ridurre l’impatto sul pianeta, e lo stesso atteggiamento si rifletterà presto anche sul comportamento delle stesse aziende verso le persone che ci lavorano e che le mandano avanti ogni giorno. Dopotutto, il merito del capitalismo è quello di creare ricchezza e solo dopo può scegliere cosa farne – se essere avidi o giusti. Churchill diceva che chi disprezza il capitalismo lo vedeva come una tigre, altri come una mucca da mungere, e lui invece come un bue che tirava un carro molto pesante; il Council ora chiede che su quel carro salgano più persone possibile.

Non è possibile ignorare che sia un’iniziativa calata dall’alto, e ho sentito da più parti commentare che già solo il fatto che sia un componente della famiglia Rothschild a proporlo (che ne può sapere lei di essere lasciati a terra dal carro del capitalismo?), sia un motivo valido per diffidarne. E invece è proprio dall’alto che viene il desiderio di aggiustare un sistema che, lasciato allo sbaraglio, potrebbe finire con il rompersi e generare danni incalcolabili. Gestirlo è la scelta per la prosperità, sia per chi lo guida, che per chi lo nutre.

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