Cosa sono i test sierologici e quali speranze ci portano

di Adrian Weiss, medico

Il virus Corona, ben noto come COVID-19, causato da un ceppo virale chiamato SARS-CoV-2, da dicembre 2019 sta interessando tutto il mondo e ha raggiunto più di due milioni e mezzo di contagi con oltre duecentomila decessi.  Le problematiche che ne sono derivate non riguardano solo il livello sanitario, ma hanno anche implicazioni sotto il profilo economico e sociale. In questo momento in cui ci si riprende dal primo impatto e si apre alla fase successiva sforzandoci di riannodare i fili delle attività, si parla molto dei test sierologici che ricercano gli anticorpi del COVID-19, nella speranza di ricevere la conferma di essere immuni e poter rientrare nella propria normalità.

Questi esami sierologici (o immunologici, o anticorpali), in più circostanze rappresentati come “la soluzione” che consente di identificare rapidamente chi è non è positivo al virus e chi ne è guarito, stanno riempiendo le pagine dei giornali e le trasmissioni TV, colmando di nuove speranze anche l’animo della popolazione chiusa in casa che ambisce a sentirsi più sicura nella delicata fase di ritorno alle usuali abitudini.

In cosa constano esattamente i test anticorpali e in cosa differiscono dai test diagnostici per il COVID-19? Che risultati si hanno per chi vi si è sottoposto? A seguito dei risultati, come dovremo comportarci durante il perdurare della pandemia di COVID-19?

Anzitutto va rilevato che, mentre i test diagnostici per COVID-19 comportano la ricerca di un virus attivo – in questo caso il coronavirus noto come SARS-CoV-2 – i test sierologici o test degli anticorpi, che sono eseguiti su campioni di sangue, cercano invece le prove della risposta immunitaria dell’organismo al virus. Se un test anticorpale dà risultato positivo al coronavirus, significa anzitutto che l’individuo in passato è stato esposto a SARS-CoV-2 e che il suo sistema immunitario ha emesso una risposta originando appunto gli anticorpi. Il test implica un’analisi di laboratorio per misurare la quantità e le tipologie degli anticorpi (immunoglobuline, Ig) prodotti dal nostro sistema immunitario per difendersi da ciò che proviene dall’esterno (antigeni) e che può costituire una minaccia, come appunto il coronavirus.

Solitamente si va alla ricerca delle IgM, immunoglobuline che l’organismo produce come prima risposta a un antigene: la loro concentrazione tende ad aumentare per alcuni giorni nel momento dell’infezione e poi decresce lasciando spazio alle IgG. Le IgG sono di norma le immunoglobuline maggiormente presenti nel sangue e sono specifiche per i singoli tipi di antigeni. Semplificando molto, dopo la fase acuta dell’infezione la loro quantità diminuisce, ma esse mantengono la memoria della minaccia che avevano incontrato, consentendo quindi all’organismo di impedire allo stesso antigene di fare nuovamente danni. Partecipano ai processi che ci rendono immuni alle malattie.

Ma, in termini di immunità, cosa significa un risultato positivo del test anticorpale nel caso del coronavirus?

Una prima osservazione riguarda il fatto che se i test immunodiagnostici fossero imprecisi, si potrebbero generare due gravi errori: nel primo caso si potrebbe far classificare negativi degli individui che sono stati infettati, nel secondo caso si potrebbe invece far classificare positive delle persone non contagiate. Ambedue gli errori influirebbero seriamente sul controllo dei risultati.

I test di laboratorio che rilevano gli anticorpi da SARS-CoV-2 necessitano ancora di ulteriori convalide per accertarne l’accuratezza e l’affidabilità.

Questi test devono inoltre identificare accuratamente precedenti contagi da SARS-Cov-2 nonché contagi causati dal gruppo dei sei coronavirus umani conosciuti, di cui quattro causano il comune raffreddore e circolano diffusamente, mentre i due restanti virus sono quelli all’origine della MERS (Middle East Respiratory Syndrome) e della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome).

Ora, negli individui che abbiano contratto contagio da uno dei due virus, MERS o SARS, si possono produrre anticorpi che reagiscono in modo incrociato con gli anticorpi prodotti in risposta all’infezione da SARS-CoV-2. Il punto è molo delicato visto che anche una moltitudine di società cerca ora di commercializzare i propri test (in alcuni casi anche presentando affermazioni inesatte) e l’FDA (Food and Drug Administration) potrebbe anche dover intervenire in proposito con dei seri provvedimenti.

È importante, perciò, tener presente il fatto che la validità di un test sierologico deve necessariamente essere dimostrata, e non è sufficiente che qualcuno affermi di disporre di un tale test perché questo sia considerato affidabile e in grado di fornire risultati attendibili. Tutto va provato e testato.

L’OMS ha pubblicato delle linee guida in merito. Infatti, alcuni governi hanno proposto che il rilevamento di anticorpi in persone guarite da SARS-CoV-2, il virus che causa COVID-19, possa essere la base per l’emissione di un “patentino di immunità” o “certificato di libero-da-rischi”. Esso consentirebbe ai possessori di viaggiare o tornare al lavoro nella presunzione che essi siano potetti da un secondo contagio. Tuttavia, a questo punto della pandemia non abbiamo ancora in questo senso delle evidenze sufficienti a garantire l’idoneità di un tale certificato, basato sull’immunità prodotta dagli anticorpi. Coloro che avessero ottenuto un risultato positivo al test potrebbero ritenersi immunizzati e non poter essere soggetti a una seconda infezione, ignorando le raccomandazioni degli organi di salute pubblica.

Il rilascio di un “patentino di immunità” potrebbe contribuire a innescare il rischio di una continuata ritrasmissione dell’infezione.

In breve, al momento non si sa ancora come interpretare esattamente tutti i risultati dei test sierologici e non abbiamo ancora la certezza che una volta guariti dal COVID-19 se ne diventi immuni. Come non sappiamo se chi ha sviluppato gli anticorpi sia completamente, parzialmente o per niente immunizzato, quale concentrazione di anticorpi sia atta a promuovere l’immunità e se essa perduri nel tempo. In sostanza, per ora è nelle nostre mani il compito di difenderci eventualmente anche con piccoli sacrifici e attenendoci coscienziosamente alle norme igieniche previste e mantenendo la distanza sociale.

Comunque, la ricerca è ancora giovane e molti spunti sono ancora da verificare e tanti dettagli da studiare e mettere a punto. A questo processo sono instancabilmente dediti tanto grandi istituti di ricerca quanto altre realtà dell’innovazione, magari più piccole, ma bene equipaggiate e con team d’avanguardia; perciò la speranza di ottenere test con risultati sicuri e magari un vaccino non potrà far attendere ancora a lungo.

 

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