Dalla pignoleria alla faciloneria

Dalla estrema professionalità ai Tik Tok. Dalla pignoleria alla faciloneria. In alcuni decenni si è passati dalla severità feroce alla permissività ad oltranza. Pochi sanno, o ricordano, che fino agli anni ’80 i giornalisti che seguivano sfilate o eventi moda erano obbligati a firmare un modulo con cui si impegnavano a non pubblicare foto o disegni di ciò che veniva presentato  prima di sei mesi. E per i trasgressori vi era il pericolo di denuncia da parte delle aziende moda, oltre al vedersi tolto l’incarico dal giornale, a sua volta considerato responsabile della pubblicazione. Le creazioni d’alta moda, cui si aggiunsero quelle di Prêt-à-porter, con la diffusione immediata delle loro immagini, potevano essere copiate dai “prontisti” : alcuni di questi, poi, si accordarono con fotografi  -adeguatamente prezzolati!- per aver subito foto “di contrabbando” . “Prontisti” che, ovviamente,  le avrebbero  stampate per riprodurre i capi nei loro stabilimenti (con tessuti e lavorazioni ben diversi,  sia pure  cambiando  qualche  dettaglio, per evitare l’accusa di plagio), vendendoli quindi alla grande distribuzione, “bruciando” gli acquisti negli atelier e nelle boutique.

In questi ultimi decenni -indubbiamente meno felici, anche se l’Italian Style, fortunatamente, gode di un successo sempre maggiore- si è passati in maniera abnorme  alla diffusione immediata.

I giornalisti  del settore moda (donne, ma anche uomini: alcuni bravissimi) dopo  aver visto i vari fashion blogger ora  vedono  nelle prime file -pronti a descrivere (!) ciò che vedono in passerella- i Tik Tok, il cui nome può far ricordare un biscottino salato o un tipo di  caramelline, se non un colpetto alla porta (nato in Cina nel 2016 come  Douyin, il Tik Tok  – social network acquistato da un magnate cinese per 1 milione di dollari- è l’app oggi più scaricato ), è amato e  usato  da ragazzini  delle più varie estrazioni, che non amano  (e non conoscono) la carta stampata, si avvalgono di notizie non verificate, non controllate, fake news accentuate, esasperate, unite a loro pareri “a pelle”: lanciate con video che durano 60 secondi, ovvero un minuto.

Fortunatamente, oltre ai Tik-Tok e soci, ed a chi si lascia suggestionare (o infinocchiare) dal pressapochismo e da qualsiasi notizia o immagine, la marcia dell’Italian Style continua con successo. Dopo le giornate dedicate all’abbigliamento maschile a Firenze e Milano, ecco   l’Ente Moda Italia volare  a New York, dove partecipa per la prima volta al salone di moda e lifestyle uomo “Liberty Fair”. Grazie all’accordo siglato con Liberty Fairs Group, Emi sarà poi presente a Los Angeles, al Sands Expo dove si terrà l’edizione di “Liberty Fair” dedicata al mercato West Coast: Ma non basta; perchè sarà presente anche a “Liberty Fairs Las Vegas! Inoltre, l’accordo avviato con Liberty Fashion Fairs Group prevede anche la partecipazione di una selezione di  aziende italiane, con le loro nuove collezioni,  al salone “Cabana & Capsule” con la moda donna, mare e viaggi, in programma a New York dal 10 al 12 febbraio prossimi.

Alberto Scaccioni, amministratore delegato di EMI, ha detto: “Siamo molto felici di questa nuova collaborazione con Liberty Fashion Fairs Group…siamo convinti che darà frutti molto concreti e diventerà uno strumento molto importante per promuovere al meglio le collezioni delle nostre piccole e medie aziende sul mercato americano, che rimane un punto di riferimento per l’export moda italiano: nei primi nove mesi del 2019, le esportazioni di moda maschile italiana negli USA sono cresciute  del + 10, 2 %”.

Lasciando da parte Tik Tok & C., ma guardando – per contro – l’autentica realtà del nostro sistema moda, si potrebbe essere, almeno in questo, ottimisti. Trump permettendo.

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