Dentro e oltre essere madre

di Clara Cappelletti

photo credits @freestocks on Unsplash

Maggio è il mese che, naturalmente, ci porta a parlare di maternità.

Essere madre non è un tema banale, perché anch’esso, come tanti argomenti che abbiamo trattato nel corso dei mesi, è sepolto da anni, secoli, millenni di pre-giudizi, stigmate sociali e culturali.

La premessa è doverosa: io non sono madre. Il seguito è che non so se desidererò mai esserlo, ma chi sa. Non è per impertinenza, dunque, che mi trovo a scrivere questo pezzo, né per ficcare il naso in un tema che non mi riguarda, ma per curiosità e desiderio di comprensione. Il mio mancato istinto di maternità, in fondo, fa parte dell’argomento e introduce il tema più importante, legato all’essere madre: la Libertà. La libertà di non essere madre magari nel mio caso, e di essere madre come si vuole esserlo, nelle sue infinite sfaccettature.

Nell’ultimo periodo, proprio per mia personale volontà di comprendere e curiosare all’interno della tematica, mi sono trovata dinnanzi a visioni critiche, provenienti da madri in carne ed ossa, che hanno lavato via dai vetri dei miei pensieri gli aloni accumulati di aspettative e di compostezza materna “a tutti i costi”.

Parto da un esempio: recentemente ho parlato con una neo-mamma, incinta all’ottavo mese, che mi ha serenamente detto niente, l’istinto materno non è arrivato nemmeno con la pancia grande. Boom nella mia testa: pensavi, vero, che ogni potenziale madre fosse mossa da un tenero desiderio e irrefrenabile istinto di maternità, motivato anche dall’orologio biologico che avanza? Sbagliato. Michela sarà madre, un’ottima madre, anche senza quel pezzo, l’istinto di maternità, che pensavo essere la conditio sine qua non. E la libertà con cui mi ha detto macché istinto materno!, ha contribuito ad aprire la mia nuova visione di maternità. Michela sarà un’ottima madre anche spogliata da quell’istinto materno che nella mia testa era necessario per essere madre.

Maternità, questo ho scoperto, non è solo rosa e fiori, non è solo odore di talco e splendidi vestitini rosa o azzurri, e non è nemmeno solo cacche da pulire, depressione post partum e notti insonni. E’ quella via di mezzo, tremenda a volte e favolosa altre, fatta di uno spettro pressoché infinito di emozioni e situazioni tutte lecite allo stesso modo. Che non devono essere taciute, nei loro picchi alti e bassi. Perché in fondo, come tutto, la maternità è una cosa umana. E come tutte le cose umane, è comune a tutti ma diversa in ognuno.

Ecco il secondo esempio: Roberta, che al contrario di Michela ha da sempre un istinto materno a palla, ha raccontato come, una volta incinta, le sia sembrato di diventare un bene pubblico. Tutti e tutte a dispensare consigli, raccomandazioni e pareri, tutti e tutte a dire la propria, a toccare la pancia – ma quando mai mi si tocca la pancia, nella vita “normale”, a una donna se non incinta? Tutte e tutti a parlare solo di lei, del bambino, della gravidanza, dei chili in più, di quelli in meno, della pancia. Roberta, alla fine, dice: ma lo sapete che io esisto ancora, oltre la mia pancia, i miei chili e il mio bambino? Lo sapete che ho ancora passioni, che ancora mi piace disegnare, guardare serie tv, parlare di politica e libri? Lo sapete che io esisto, oltre al mio essere madre? Boom nella mia testa. Roberta è pienamente consapevole che il suo essere madre è una fetta di sé. Il resto è essere quello che è sempre stata e che sempre sarà: donna, compagna, amica, pittrice, lettrice, curiosa.

Poi c’è Stefania, che dopo aver adempito ai propri doveri sociali, fare un bambino (così dice, con una punta di ironia ovviamente) si è sentita trascurata: esisteva solo il bambino, sballottato da un braccio a un altro. Il bambino e quanto mangia, il bambino e il latte, il bambino e la cacca, il bambino e che carino, il bambino, il bambino e com’è grande, il bambino e come ti somiglia. Ci sono anche io, dice Stefania. Anche io, ci sono nella mia interezza con e oltre il mio bambino.

Anche Cristina mi racconta delle domande inopportune, delle questioni di dominio pubblico, dei consigli mai richiesti. E soprattutto mi dice questo: ci sono tantissimi idee, scuole, bandiere, ma alla fine è la mamma che conosce il proprio bambino e sa che cosa fare. Io con Giulia vado molto ad istinto, perché si arriva a sentire un sacco di cose. C’è un secondo cambiamento, oltre a quello immediato legato all’amore e all’apprensione, che è molto più graduale e ti porta ad ascoltare con maggiore attenzione sia te che il bambino. Ti aiuta a conoscere meglio anche te e anche il tuo compagno.

Allora io mi permetto di dire che oltre alla Libertà, la chiave della maternità a proprio modo sia la Consapevolezza. Quanto è bella l’idea di conoscersi attraverso l’Altro, in generale? Che sia un compagno, un amico o, appunto, un figlio. Per Cristina la maternità è ascolto.

Per Federica è tempo. Per Michela è esperienza. Per Stefania è cambiamento.

Ogni maternità è diversa e giusta a suo modo. Una maternità può essere senza intoppi, un’altra piena di ostacoli. Una fatta di sole gioie, un’altra anche di zone d’ombra. In alcune maternità si può avere bisogno di chiedere aiuto – di questo mi parla serenamente Cristina, per esempio: se una mamma si sente in difficoltà o non crede in se stessa, ci sono moltissime figure e realtà che possono aiutarla, anche al di là della famiglia. E sì, maternità può essere anche chiedere aiuto.

Prima di ficcare il naso dentro quest’argomento, per me la maternità era un blocco monolitico dai contorni chiari e netti. Qualcosa che, semplicemente, non mi riguardava e non faceva per me (e lo ammettevo a me stessa con non pochi sensi di colpa).

Dopo aver ficcato il naso nella maternità – e ringrazio le mie amiche, che mi hanno permesso di farlo – la maternità mi appare come ciò che effettivamente è: un’esperienza tra le altre, da vivere, se la si vuole vivere, in piena Libertà e Consapevolezza. E se non la si vuole vivere, bé: che non la si viva con altrettanta Libertà e Consapevolezza. E poi, tanto, Libertà è anche poter cambiare idea.

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