Distanza sociale: ecco perchè bisogna tenersi a distanza

di Adrian Weiss

Le strade sono deserte, il traffico assente, uno strano silenzio è interrotto talvolta dalla sirena di un’ambulanza che trasporta con sé l’ansia e la preoccupazione che riempiono i cuori di tutti in queste settimane. Il Coronavirus: come riusciremo a fermarlo? I problemi non sono pochi, anche perché le incognite sono maggiori delle certezze.

I problemi che presenta questo virus sono, infatti, almeno quattro: si trasmette molto facilmente, si trasmette anche attraverso persone asintomatiche o con sintomi lievi, la popolazione mondiale è scoperta, ovvero non ha anticorpi e, per ora, non esiste un vaccino, il che significa che prima o poi molti individui potrebbero contrarlo. Fino a quando non avremo un vaccino, il distanziamento sociale e l’isolamento sono le uniche armi che abbiamo, come dicono e ripetono gli scienziati.

È vero: i tempi per avere disponibile il vaccino non possono essere brevissimi, ci vorranno comunque diversi mesi, anche nelle previsioni più ottimistiche. Normalmente, per arrivare a un vaccino da commercializzare il tempo medio è di 3 anni. In quest’occasione sicuramente i tempi saranno di molto più brevi e sicuramente non saranno quelli abituali per un vaccino. A forbice, secondo gli esperti, si può andare da poco meno di un anno (i primi mesi del 2021) a quasi un anno e mezzo per avere le dosi con rifornimenti massicci. Secondo la stampa scientifica il panorama globale comprende attualmente 115 candidati vaccinali, di cui 78 confermati come effettivamente in corso di sviluppo. Di questi 78 progetti attivi, 73 sono in fase esplorativa o preclinica, mentre 5 sono in una fase più avanzata, e sono passati nella vera e propria fase di sviluppo clinico. Per arrivare al rapido sviluppo d’un vaccino è importante capire il comportamento del virus.

Il Coronavirus SarsCoV2 muta molto lentamente e questo rende molto più facile la collaborazione internazionale nel mettere a punto farmaci e vaccini. Lo indica l’analisi dei dati genetici condotta in Italia, che ha individuato otto ceppi provenienti da diverse aree, tutti simili a quello originario cinese e nessuno più aggressivo di quello originario. Quello che è emerso, è “una marcata omogeneità genetica di tutti i genomi virali analizzati”. Le variazioni osservate sono avvenute in parti del genoma del virus che non controllano la produzione di proteine, il che “suggerisce che le differenze tra i diversi genomi non evidenziano un processo di evoluzione del ceppo virale e, quindi, esse non risultano responsabili di una mutazione del ceppo virale e di una sua potenziale maggiore virulenza”.

Per rallentare il più rapidamente possibile la curva di propagazione di questa pandemia, abbiamo necessità di informazioni scientificamente precise su come il virus si diffonde nelle comunità. Non solo in goccioline di tosse e starnuti, il Coronavirus viaggia nell’aria anche con il semplice respiro. Il virus SarsCov2 è stato trovato in campioni d’aria raccolti a oltre 1,8 metri distanza tra due pazienti. Lo scrive l’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti in una lettera al capo delle politiche scientifiche della Casa Bianca, inserendosi in un dibattito che va avanti da tempo. Finora si ritenevano come prima fonte di contagio le goccioline emesse con tosse e starnuti con un diametro superiore a 1 millimetro. Ma se il Coronavirus può rimanere sospeso nelle particelle ultrafini prodotte col respiro, la protezione diventa molto più difficile e si rafforza la tesi che tutte le persone dovrebbero indossare le mascherine in pubblico per ridurre la trasmissione del virus da persone asintomatiche.

Il dibattito su questo tema è molto acceso e si è quindi animato soprattutto dopo lo studio pubblicato agli inizi di marzo sul New England Journal of Medicine, in cui si sostiene che il virus SARSCoV2 può sopravvivere fino a tre ore nell’aria e nelle goccioline di saliva e rimanere infettivo. Un altro studio sull’argomento, condotto dall’università di Wuhan, ha scoperto che il virus può essere risospeso nell’aria quando l’operatore sanitario si toglie la mascherina Ppe, pulisce il pavimento o si muove attraverso arie infette. Tutti insieme questi elementi “indicano la possibilità di trasmissione del virus sia attraverso le goccioline che il respiro”, anche se non tutti gli esperti sono d’accordo. Questo evidenzia l’importanza che la distanza sociale sia di almeno 2 metri e non di uno solo, come pure l’importanza dell’uso delle mascherine nella prevenzione.

Continuando con la ricerca e la collaborazione, si arriverà certamente ad ottenere un trattamento capace di curare e prevenire questo virus e concludo con quanto diceva George Bernard Shaw: “Si les Anglais peuvent survivre à leur cuisine, ils peuvent survivre à tout…”: niente cambierà, il mondo tornerà ad essere come prima.

 


Adrian Weiss è medico addestrato per il contagio biologico e membro del gruppo europeo GCP 

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