Diversity: l’arte e l’incontro

Tutti siamo diversi, ma nello stesso tempo uguali. La storia dell’umanità è segnata dal bisogno di indagarne le differenze e di attraversare quel velo di Maya che copre l’ignoto, per arrivare alla verità. L’arte è da sempre un mezzo preferenziale per oltrepassare la cortina di preconcetti e studiare ciò che non è noto.

Un esempio? I dipinti di Paul Gauguin, a fine ‘800. Nelle opere del pittore francese percepiamo tutta la tensione a non fermarsi alla propria percezione del mondo ma di comprendere, prendere insieme, abbracciare, la diversità. E prima di Gauguin, l’alieno, il diverso fu il centro del lavoro artistico di Théodore Géricault (1791-1824), che nel ciclo degli “Alienati” riuscì a rappresentare con ruvida schiettezza individui affetti da problemi psichiatrici. Di queste persone, che sul finire del ‘700, erano trattate senza rispetto e diritti, Géricault ci offre ritratti carichi di dignità e compassionevoli.

Certo, non solo la pittura, ma l’arte in generale, ci permette di scoprire ed aprirci ai tanti modi nei quali  si possono esprimere le diversità, siano esse fisiche o mentali e attraverso il genio creativo dell’artista, le diversità possono coesistere.

Pochi mesi fa, in Ticino, è stato presentato il progetto “Diversity”, fondato sull’unione di varie arti (performance, installazione, audio-video, arte visiva), voluto e progettato dall’artista e arte-terapeuta Stefania Bertini: “Il rispetto per la diversità è il tema di cui questa mostra d’arte ha voluto parlare. L’arte è strumento e l’opera d’arte vuole essere un ponte, un passaggio per aprire un canale di comunicazione.” Con quale obiettivo? “Per sensibilizzare al rispetto della diversità tra esseri umani e al rispetto per la natura nella propria biodiversità”, ci spiega Stefania.

Una foto della performance del progetto Diversity, mentre viene cucita, col filo d’oro, la trama del grande libro in ferro, simbolo della nostra società.

E infatti tutto il fare artistico dell’artista italiana, da anni trapiantata a Lugano, prevede l’utilizzo di materiali ‘della terra’ (un pezzo di ferro, un filo di lana, fotografie di fiori, pezzi di rami), che l’artista combina, accosta, antepone l’uno all’altro, per ricordarci da un lato che l’individuo è parte di un organismo sociale, diverso e più ampio, e dall’altro che noi tutti, con le nostre azioni e scelte, questo organismo lo trasformiamo. “La nostra posizione verticale ci fa poggiare i piedi a terra e rivolgere lo sguardo al cielo, tra l’alto e il basso, si dispiegano le nostre biografie, le nostre storie di vita. I popoli del passato conoscevano le relazioni intime tra forze terrene e forze spirituali, costruivano dimore e luoghi di culto su queste basi. Oggi abbiamo la necessità di riprendere le nostre antiche conoscenze, arricchiti dal nostro intenso presente, in direzione del futuro”, dice Stefania. Ma possiamo farlo solo nell’incontro tra esseri umani, qualunque ne sia l’origine e l’appartenenza socio-culturale.

“Natura ispiratrice”. Foto di Kim Albarran

E così, nelle opere di Stefania, il gesto di accostare corpi, forme e colori opposti assume un ruolo centrale. Di fronte alla tela, alla quale è incollato un leggero gomitolo di lana, affiancata ad un’altra tela, sulla quale poggia un pezzo di ferro, ecco che leggerezza e pesantezza, fragilità e oscurità si incontrano, suscitando un’alchimia che narra la storia di un amore ideale. Quello per il nostro mondo, e lo spazio in cui viviamo. E le fotografie di fiori di campo dirimpetto alle foto del cielo, in tensione tra loro, creano uno spazio vuoto nel quale ci è data la possibilità di porci domande le cui risposte richiedono l’adozione di diverse angolature e linguaggi formali, metafora che sta a ricordarci come solo con la collaborazione di tutti è possibile costruire una società ideale, fondata su pace e rispetto reciproco.

 

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