#DonneFrauenDunnasFemmes: intervista a Sabrina Dallafior, Console generale svizzero a Milano

Console Dallafior, qual è stato il suo percorso?

Ho iniziato la mia carriera diplomatica vent’anni fa quando sono entrata nel Dipartimento degli Affari Esteri. Prima di venire a Milano mi sono sempre occupata di diplomazia multilaterale. Ho lavorato alla Missione svizzera presso la Nato a Bruxelles, la Missione svizzera presso l’Unione Europea sempre a Bruxelles, poi alla centrale a Berna ero responsabile per l’OSCE nonché vicedirettrice della divisione responsabile per tanti processi multilaterali nell’ambito dei diritti umani e della politica umanitaria. In ultimo, prima di trasferirmi a Milano come Console generale, ero Ambasciatrice per il Disarmo presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra. Ho quindi una lunga carriera alle spalle, tenendo anche conto che ho sempre lavorato mentre frequentavo l’università con vari contatti anche all’estero: ho infatti trascorso molto tempo a Mosca studiando la russistica. A quel punto poi ho deciso di intraprendere la carriera diplomatica.

Console Dallafior, ho letto che lei ha genitori Italiani.

Sono figlia di genitori italiani, emigrati entrambi nel 1960. Mia madre è originaria del Friuli e mio padre del Trentino, però io e le mie due sorelle siamo nate e cresciute a Basilea.  Ci riteniamo a tutti gli effetti svizzere e basilesi.

Cosa conserva dell’italianità?

Secondo mio marito (svizzero tedesco), il temperamento. Devo ammettere che a Milano sto riscoprendo tanti lati nuovi dello spirito italiano. Durante la mia infanzia e adolescenza l’Italia non rappresentava nulla di più che il paese delle vacanze. Ora invece è tutta un’avventura, una vera riscoperta dell’Italia. Non la avverto affatto estranea e culturalmente mi sento vicina. È vero, il tedesco e lo svizzero tedesco sono la mia lingua madre, però il mio italiano conserva l’accento delle origini e dunque anche qui in Lombardia, sorprendentemente, riconoscono la mia provenienza geografica. Quindi c’è questa grande affinità e ne sono felice.

Quali sono i valori che regolano il suo operato?

Per me è sempre stato importantissimo lo spirito di squadra. Tale spirito, permeato da valori quali la credibilità e l’autenticità, rappresenta un vantaggio per tutti e consente di raggiungere più facilmente gli obiettivi. Tra l’altro questi valori rappresentano anche la società svizzera e soprattutto la diplomazia svizzera insieme a integrità, affidabilità e concretezza. E qui torniamo a Milano, dove la parola “concretezza” la fa da padrone.

A proposito di Milano, ci può spiegare il progetto “I talenti delle donne”?

Il palinsesto “I talenti delle donne” è un progetto del Comune di Milano lanciato per l’anno 2020. Quando la Città, e più concretamente l’Assessore alla Cultura Filippo del Corno, ci ha invitato a prendere parte a tale progetto mi sono subito entusiasmata perché è un tema che sento molto. Il Consolato generale di Svizzera a Milano, fra l’altro, è diretto da una squadra tutta al femminile: io, la mia vice e la capo cancelleria. E la parità rientra tra le priorità della politica estera della Svizzera. Diciamo qui che interessi personali e professionali si sono fortunatamente incrociati. La prospettiva poi di poter collaborare a stretto contatto con il Comune di Milano mi ha subito motivata. Quindi abbiamo risposto positivamente all’invito e fin dall’inizio abbiamo avuto l’ambizione di partecipare non solo con uno o due progetti di portata limitata bensì di ideare un vero e proprio palinsesto nel palinsesto. Da qui la campagna #DonneFrauenDunnasFemmes, o più brevemente #DFDF, dedicata a figure femminili svizzere particolarmente talentuose del mondo della cultura, dell’economia, della scienza e della politica.  Inizialmente avevamo progettato diverse manifestazioni quali proiezioni di film anche all’aperto (che avevamo chiamato “Il cinema in cortile” perché ambientate nel cortile interno del Centro Svizzero di Milano), mostre fotografiche, tavole rotonde, incontri, discussioni che poi con la pandemia purtroppo sopraggiunta abbiamo dovuto rimandare. Proprio da questa necessità è nata la campagna online #DFDF, un adattamento alla nuova normalità post emergenza sanitaria COVID-19, che ci ha permesso di essere presenti e raggiungibili nonostante il distanziamento sociale. L’obiettivo della campagna #DFDF è quello di presentare ogni settimana, da giugno a settembre, sui canali social media Facebook, Instagram e Twitter del Consolato generale una donna svizzera, o che abbia un forte legame con la Svizzera. Attraverso un breve filmato realizzato in maniera genuina ed amatoriale con il proprio smartphone, donne particolarmente rappresentative e carismatiche, che incarnano un modello e che ispirano attraverso il loro esempio, si presentano e ci propongono le loro riflessioni sul tema. Abbiamo iniziato con una famosa virologa per continuare la scorsa settimana con Marina Carrobbio, Consigliera agli Stati, prima donna ticinese alla Camera dei Cantoni e Presidente del Consiglio Nazionale 2018/19. La lista comprende donne molto diverse fra loro, più o meno conosciute, per dare alle voci femminili il più ampio ventaglio possibile.

Console, Lei ha incontrato difficoltà nell’affermarsi professionalmente?

Personalmente non credo di avere mai subito disparità di trattamento nella mia vita professionale. Il Dipartimento sotto questo aspetto è ormai attento, anche se non siamo ancora alla parità 50:50, soprattutto per quanto concerne posizioni ad alti livelli. È chiaro che larga parte delle esperienze o percezioni dipendono anche dal carattere di ciascuno ed io, per quanto mi concerne, sono sempre stata molto determinata. E poi ogni persona ha i suoi modi per affermarsi.  Proprio apprezzando le diversità ho voluto fortemente la campagna #DFDF quale opportunità per le donne di dar prova della loro forza, intraprendenza e del loro coraggio così da essere modello e fonte d’spirazione per altre donne, affinché credano in sé stesse e raggiungano così i loro obiettivi. Un messaggio quindi assolutamente positivo. Con ciò non voglio dire che il metodo debba essere per forza questo e che un approccio più critico o più rivendicativo, dove vengono sottolineate le differenze di trattamento, sia meno efficace o sacrificabile. Al contrario. Credo piuttosto che queste due strategie siano assolutamente complementari. Senza alcun dubbio la legge, a fronte di processi culturali che potrebbero rivelarsi troppo lunghi, è necessaria e presupposto irrinunciabile per raggiungere la parità. Tanto più che essa è un diritto umano fondamentale.

Alle donne molto spesso si rimprovera l’incapacità di fare rete. Cosa ne pensa?

Io ho il privilegio di fare un lavoro ove trovare delle soluzioni e fare rete è assolutamente centrale. È la base della mia professione. Non ho mai compreso se è davvero un limite femminile o se prescinda dal genere. Come diplomatica lo ritengo essenziale e indispensabile.

Come ha vissuto il consolato il lockdown? Quali difficoltà ha riscontrato e come pensa in futuro di risolverle?

Il 9 marzo scorso, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e l’ordinanza della Giunta regionale della Lombarda, siamo andati in smart working. Abbiamo chiuso gli sportelli al pubblico, ma eravamo comunque raggiungibili e operativi telefonicamente e via email. In questo periodo abbiamo avuto tantissimo lavoro per quanto riguarda la situazione dei frontalieri, a causa dei valichi secondari chiusi, e tantissime telefonate da parte di svizzeri che avevano bisogno di sapere se potevano viaggiare o tornare in patria. Quindi ci siamo confrontati con tanta ansia, insicurezza e un grande bisogno di informazioni: cosa comporta il decreto in Italia, che conseguenze hanno le misure svizzere. Senza contare poi la necessità di spiegare le decisioni svizzere alla Lombardia e viceversa e che a un certo punto venivano a coincidere nel tentativo di contenimento del contagio. Abbiamo dovuto organizzare, per esempio, il rientro dei cittadini svizzeri in crociera arrivati nei porti liguri e molto altro ancora. Ma siamo riusciti a gestire tutto virtualmente grazie ai mezzi messi a disposizione dal Dipartimento, che ringrazio. Tutto questo a livello consolare, poi c’erano i contatti più strettamente politici, di mia competenza. Naturalmente, passate le prime settimane di emergenza, è stato necessario riflettere su come far ripartire i progetti in cantiere bloccati dalla pandemia. Devo dire che alcune manifestazioni come il “Festival del Cinema Svizzero Contemporaneo” hanno avuto, sebbene trasmesso soltanto in streaming, e proprio per questa ragione, un successo insperato con oltre 260.000 spettatori.

Come vede dall’Italia la condizione delle donne in Svizzera?

In Svizzera siamo stati in ritardo soprattutto riguardo al diritto al voto, ma abbiamo recuperato e ad oggi siamo in linea con la maggior parte dei paesi europei anche se il modello del Nord Europa è ancora lontano. Allo stesso tempo, con le elezioni dell’anno scorso, la percentuale di deputati donne nel consiglio nazionale è salito al 42% e con ciò la Svizzera, a livello mondiale, si posiziona al 15° posto – sorpassando paesi come la Norvegia. Ci sono sempre nuove sfide con cui confrontarsi, ma ancora una volta credo che lo sforzo comune, unito a modelli positivi a cui ispirarsi, non possa che determinare un miglioramento della società nel suo complesso.

 

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