Dove si sta male, si emigra

di Edoardo Pivoni

Ammonticchiati là come giumenti

sulla gelida prua mossa dai venti,

migrano a terre inospiti e lontane;

laceri macilenti,

varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,

vanno, oggetto di scherno allo straniero,

bestie da soma, dispregiati iloti,

carne da cimitero,

vanno a campar dangoscia in lidi ignoti.

Questo scriveva nel 1882, nella sua poesia “Gli emigranti”, lo scrittore e giornalista italiano Edmondo De Amicis. Era l’epoca dell’intensa emigrazione verso le Americhe, un continente ancora poco popolato e vergine, che risucchiava come un’idrovora la forza lavoro europea e non solo. Due anni dopo, De Amicis si imbarcò a Genova su un piroscafo che andava in Argentina, dove, oltre ad affaristi e viaggiatori per diletto, c’erano migliaia di italiani in cerca di un’altra vita; qui, documentò il fenomeno migratorio che stava assumendo dimensioni sempre più imponenti e l’acuto conflitto tra i passeggeri di prima e seconda classe e quelli di terza, nullatenenti che espatriavano per sopravvivere. Di solito questi ultimi diventavano clandestini in terra straniera ed erano perlopiù ex briganti, anarchici, delinquenti e mafiosi.

Le dure condizioni degli emigranti italiani sono descritte, ai tempi di De Amicis, anche da Giovanni Battista Scalabrini, sacerdote cattolico e vescovo di Piacenza dal 1875 al 1905 (beatificato poi da Papa Giovanni Paolo II). Alla fine dell’Ottocento, oltre a essere stato uno dei più importanti sostenitori della conciliazione tra Chiesa cattolica e Regno d’Italia per la “Questione romana” (cioè l’annessione italiana della Roma papale nel 1870), si interessò alla questione migratoria. Intere valli degli Appennini erano spopolate dall’emigrazione all’estero. La genesi di questa sua attenzione fu raccontata in modo in modo solidale e fraterno: poveri migranti italianissimi, descritti con analogie potenti coi profughi siriani di qualche anno fa, stipati nella stazione Centrale di Milano. Scalabrini poi, si rese conto dei grandi interessi economici che c’erano dietro le migrazioni di interi popoli e non esitò a definire “mercanti di carne umana” chi speculava su quelle disperazioni; perciò, nel 1887, istituì un comitato per la protezione dei migranti noto come Società San Raffaele.

La Convenzione sui rifugiati di Ginevra del 1951 recita: “Il rifugiato è una persona che nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”.

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In un assolato pomeriggio dell’estate 2016, andai a intervistare per La Fabbrica dei Grilli, libreria di Piacenza e allora mensile di quartiere oggi convertito in una scuola per stranieri, alcuni ospiti della Casa di Riposo Maruffi, sempre nel Quartiere Roma, per parlare con loro dell’immigrazione ieri e oggi.

Ho ascoltato Franco che parlava di due suoi zii emigrati clandestinamente in Francia, durante il fascismo, trovando altri emigranti piacentini che funsero da collegamento per chi, come loro, fuggiva o veniva esiliato per ragioni politiche, similmente a tanti immigrati di oggi, che raggiungono parenti già stabilitisi in certe nazioni, dove hanno potuto consolidare la propria posizione sociale e spesso allontanarsi da tragedie umanitarie e guerre civili. 

E la storia di Angela, il cui zio se ne andò oltreoceano per non finire arruolato da Mussolini e tornò in Italia dopo la guerra, ma riprese poi la via dell’espatrio in America, sposando una connazionale; mentre Lucia racconta dello zio e del papà della nuora, rispettivamente emigrati in Francia e in Belgio, dove subirono la discriminazione “italofobica” d’oltralpe.

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L’articolo 10 della nostra Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.

L’immigrazione si può fermare? Ricordo le parole delle persone che intervistai e che avevano vissuto, nelle esperienze di parenti e amici stretti, la scelta di emigrare: “Dove in un posto si sta male, si emigra”. Ieri. Come oggi.

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