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Edith Stein e Laura Boella: due filosofe, un solo concetto, l’empatia

Per Edith Stein, filosofa, nata da famiglia ebrea, ma convertitasi al cattolicesimo scegliendo una delle vie più difficili per testimoniare la sua fede, il Carmelo, era importante l’io, il suo vissuto, le regole degli atti di coscienza e i loro correlati che possono essere analizzati a livello “puro” e “assoluto”, conquistando e mettendo da parte i risultati delle scienze e l’intero mondo fisico e psichico circostante (compreso quello del ricercatore), attraverso un livello specifico e del tutto autonomo di esperienza, quello dell’incontro personale, dell’attenzione alla vita soggettiva come quella parte “animata” della realtà che s’incarna nelle relazioni viventi tra e persone. 

“…colgo l’altro non solo come corpo, ma come corpo vivente, come essere vivente: oltre il corpo, colgo il soggetto che vi abita, colgo l’altro come persona spirituale e scopro che i suoi gesti, le sue parole sono motivati dalla sua struttura personale. È lo spirito dell’altro che parla al mio spirito. Lo sforzo di penetrare nel suo mondo di valori mi porta ad approfondire la conoscenza del mio Io, a confrontare il mio mondo di valori col suo, a volte fa risvegliare quanto in noi sta dormendo…”

Empatia, secondo Stein, designa un genere di atti, nei quali si coglie l’esperienza vissuta altrui. Possiamo vedere l’empatia che avviene in un altro ma possiamo anche intravedere, nella propria coscienza, la capacità di potersi empatizzare nell’altro, nel suo dolore e nella sua gioia.  L’empatia, per la filosofa, attesta la possibilità della comunicazione dell’esperienza non perché due soggetti diventino uno, si confondino, o trovino un’analogia, ma perché é possibile riferirsi ad una realtà che non siamo noi e non é una cosa, ma é la realtà vissuta da un altro essere umano. Per dare piena verità a questo significato di empatia, non come immedesimazione o immediata partecipazione emotiva, ma come differenza, discontinuità tra me e l’altro, occorre entrare in relazione. L’empatia pone il suo valore cognitivo nel “rendersi conto” di essere in relazione, ovvero nel comprendersi come aperti a qualcos’altro. Stein ha elaborato un criterio decisivo che rende possibile l’atto empatico nell’altro essere umano e nei diversissimi contenuti del suo vissuto soggettivo. È possibile l’empatia, per Edith Stein, solo nella misura in cui sussiste una corrispondenza essenziale tra il mio essere e l’essere dell’altro. Solo chi si sperimenta come persona, come totalità che possiede un senso, può capire altre persone, altrimenti ci rinchiudiamo nella prigione della nostra particolarità. Gli altri ci diventano un enigma oppure, ancora peggio, afferma Stein, li modelliamo a nostra immagine e distorciamo così la verità.

Laura Boella è tra le maggiori studiose di Edith Stein. In che modo riprende, quindi, la Boella il pensiero della Stein?

Secondo Boella l’imbarazzo più profondo, la sfida più sottilmente evitata è oggi, l’incontro/conflitto con “altro”. Le fondamentali esperienze della condizione umana (le guerre, la religione, la politica, l’amicizia, l’amore, la poesia, la natura e le sue catastrofi) richiedono, per essere vissute e comprese, un’unica cosa: che il senso che ciascuno dà a esse abbia un significato nel linguaggio dell’altro, che lo sguardo dell’altro abbia rilevanza e fondatezza e sia implicato in ciò che accade. 

Nel prologo di “Sentire l’altro” Boella scrive: “Proprio il carattere incompiuto e insieme denso di sviluppi della teoria schizzata dalla giovane Stein mi ha spinta ad andare oltre,  a scrivere liberamente sull’empatia costruendo la figura e i movimenti, lasciandomi alle spalle i corsi universitari, i seminari, le conferenze che hanno raccolto il mio lavoro sulla stessa Stein e sui pensatori – Husserl, Scheler, Heiegger, Merleau-Ponty – direttamente impegnati sul tema dell’intersoggettività”. 

Il tema dell’empatia, per Boella, chiama a un confronto con l’esperienza vissuta e soprattutto chiama ad un passaggio dalla filosofia alla realtà vitale in cui siamo immersi e in cui ogni giorno cerchiamo di renderci conto di ciò che accade. Spesso l’empatia viene confusa con la simpatia e con la compassione, oppure costretta in una “teoria della mente”. Restituire all’empatia la sua complessità e specificità di atto che sta alla base delle svariate forme nel nostro entrare in relazione con gli altri è il compito che l’autrice si prefigge.

Scrive Laura Boella che l’empatia è: “L’atto attraverso cui rendiamo conto che un altro, un’altra, è oggetto di esperienze come lo siamo noi, vive sentimenti ed emozioni, compie atti volitivi e cognitivi. Capire quel che sente, vuole e pesa l’altro è elemento essenziale della convivenza umana nei suoi aspetti sociali, politici e morali. È la prova che la condizione umana è una condizione di pluralità: non l’Uomo, ma uomini e donne abitano la terra”.

Per Laura Boella restituendo all’empatia la sua complessità è possibile rendere concreto il problema del nostro vivere insieme ad altri. 
Boella descrive tre momenti del movimento empatico ognuno dei quali permette di scoprire la complessità dell’entrare in relazione e dischiude la ricchezza e la creatività insite nel sentire l’altro:
– L’emozione dell’incontro. L’altro mi compare di fronte, tutto d’un colpo, in persona, mi sta di fronte come una cosa, ma non é una cosa, ha un corpo vivo come me. Ciò che mi sconvolge, mi spaventa, mi incanta é la rivelazione della relazione tra me e l’altro. Vivo innanzitutto il mio essere un corpo di donna che incontra altri corpi di donne e di uomini. Tuttavia non riesco a dominare il mio scoprirmi immersa in una trama relazionale che mi lega e mi separa da altri finché mi misuro con essa rimanendo uguale, senza liberarmi dell’ingombro dell’immagine che, a ragione o a torto, ho di me stessa. Inizio esperienze di somiglianza e dissomiglianza, di focalizzazione dell’attenzione su un aspetto del corpo (il volto), di decifrazione delle espressioni e dei gesti (tendere, stringere la mano). 

– Immaginare e comprendere. Dopo l’emozione dell’incontro e la scoperta dell’esistere di altri, sento il bisogno di ristrutturare la mia identità. Forse mi illudo che basti rientrare nella roccaforte della mia presunta autosufficienza. In realtà, l’unico modo per tornare a fare i conti con me stessa consiste ormai nel cercare di comprendere l’altro, immaginando il suo stato d’animo, le motivazioni del suo agire, la sua personalità. 

– Trasformazione di sé. Arrivo a vivere sentimenti che non mi appartengono; attraverso il riconoscimento e lo scambio reciproco di forza interiore arrivo a sentire la fragile umanità che mi accomuna agli altri e insieme sovrasta me e gli altri.
L’empatia, scrive Boella, acquista anche una rilevanza etica, proprio perché diventa assunzione di responsabilità verso l’altro considerato come soggetto che soffre o che gioisce, che ama o che odia. Nell’atto empatico sento chi è l’altro senza fermarmi al che cosa fa e lo colgo come parte di un mondo comune. Nell’empatia c`è un intreccio virtuoso tra esperienza di sé ed esperienza dell’altro: sperimentando la possibilità di trasferirmi nel mondo dell’essere dell’altro, esco dalla prigionia dei limiti della mia individualità”.

Il mondo ci appare in una nuova prospettiva.
L’empatia non accade per caso, ma come afferma Boella, deve essere fatta accadere, deve essere praticata. Il punto cruciale dell’empatia consiste nel gestire attivamente la relazione.
La pratica dell’empatia deve misurarsi con il desiderio, presente in ciascuno di noi, che in ogni avvenimento, dai più brutali a quelli naturali, si ricostituisca una comunità di affetti. Sappiamo, secondo Boella, che la relazione con l’altro è iscritta entro di noi. Per questo motivo desideriamo essere riconosciuti per ciò che siamo stati e che potremo ancora essere, quando la malattia o un evento doloroso stravolge il nostro comportamento. Allo stesso modo, desideriamo capire le intenzioni, i sentimenti di un altro e quindi corrispondere alla sua richiesta di aiuto, di ascolto e di comprensione.

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