Elezioni presidenziali negli USA e la nuova socialità digitale

Di Franco Narducci

Per giorni siamo stati tutti spettatori appassionati o increduli dell’andamento delle elezioni americane che hanno dato la vittoria a Joe Biden e sancito la sconfitta di Donald Trump. Che però con l’ostinazione già messa in mostra nel 2016 – nella campagna elettorale che lo avrebbe poi portato alla Casa Bianca – non si dà per vinto e, ingaggiando un conflitto istituzionale dall’esito imprevedibile, non intende garantire un ordinato “passaggio di consegne”, in barba a tutte le regole, bensì protrarre lo scontro fino al giudizio della Corte Suprema che come noto è composta da giudici federali da lui eletti. 

Per altro i prodromi di tale atteggiamento erano palesi: ben prima dell’inizio dello spoglio, Trump ha affermato che soltanto i brogli dei democratici avrebbero potuto sconfiggerlo, proclamandosi poi vincitore a scrutinio ancora in corso, come se fosse ancora ad un comizio elettorale. I prossimi giorni e le prossime settimane diranno come andrà a finire e se i voti ottenuti da Biden saranno sufficienti alla prova di un eventuale riconteggio delle schede in alcuni Stati e delle decisioni relative ai voti postali giunti dopo la chiusura dei seggi.

Vari opinionisti hanno evocato il “codice di onore” che in situazioni analoghe aveva comunque regolato anche le dispute più accese in fatto di conteggio dei voti, come ad esempio nel 2000 nello scontro elettorale tra il candidato democratico Al Gore e il repubblicano George W. Bush, relativamente al conteggio dei voti in Florida. Ma i tanti sfregi compiuti da Donald Trump in questi quattro anni stendono un velo su qualsiasi appello al suddetto “codice d’onore”. 

Andando oltre le contestazioni elettorali, Biden ha colto con immediatezza l’urgenza di pacificazione degli americani per guardare avanti e affrontare le difficili situazioni che riceve in eredità da Trump: dagli accordi commerciali alla politica estera, dal rilancio dell’occupazione falcidiata dal Coronavirus alla rivisitazione delle politiche climatiche azzerate dal Tycoon Trump. Ma dovrà puntare anche ad un reale rinnovamento dei Democratici per recuperare vasti strati di elettorato tuttora attratto dalla personalità e dal linguaggio di Trump. Per la prima volta l’incarico di Vicepresidente è stato affidato ad una donna, Kamala Devi Harris, senatrice per lo stato della California dal 2017, un segnale forte di rinnovamento politico che ha bisogno di continuità per trascinare i democratici oltre il perimetro di partito dell’establishment, come viene percepito dal ceto medio americano soprattutto nella fascia di popolazione bianca non elitaria. Sono molte le sfide che attendono i democratici, alle quali si aggiunge il carico della pandemia, un’ecatombe per Trump e per come l’ha affrontata, che continua a imperversare e i cui effetti sull’economia – non solo degli USA – saranno di lungo periodo.

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Le elezioni presidenziali americane 2020 hanno segnato anche l’ulteriore salto in avanti delle tecnologie della comunicazione e del ruolo dei social media, che tra l’altro avevano avuto un ruolo importante nella vittoria di Trump nel 2016 (le interferenze della Russia nell’elezione di Trump, confermate dalla Commissione intelligence – a maggioranza repubblicana – istituita per fare luce sul Russiagate). L’effetto delle tecnologie dell’informazione sulla democrazia e sui processi democratici è cresciuto esponenzialmente e ora, al tempo del Covid-19 e relative restrizioni sanitarie imposte dai Governi, è divenuto l’agorà principale della politica, marcando lo spartiacque tra il prima e il dopo, tra il tempo “in presenza” e il tempo della “presenza virtuale”.

Il Coronavirus ha dilatato la presenza della tecnologia in molti ambiti delle nostre esistenze, dalla scuola al telelavoro, dalle relazioni umane al mondo associativo, dalle funzioni religiose agli acquisti, e naturalmente alla politica. In questo 2020 è venuto avanti un nuovo mondo e una nuova socialità digitale su cui si stava riflettendo ampiamente, in particolare per i riflessi dell’intelligenza artificiale sul lavoro (penso a Industria 4.0) e sui servizi alle persone. E invece adesso è abituale l’utilizzo di piattaforme per le riunioni di qualsiasi genere, per la didattica a distanza (DAD), le assemblee degli organismi di rappresentanza, le discussioni di lavoro, i processi decisionali, le relazioni industriali e i rapporti intersindacali, e anche per l’intrattenimento. L’uso di servizi digitali e di piattaforme come Zoom, Skype e altre è aumentato esponenzialmente.

La politica si muove più lentamente rispetto a tali cambiamenti, ma le restrizioni sanitarie hanno imposto un’accelerazione alle prassi consolidate. Già in estate, in occasione delle votazioni referendarie federali di settembre, i partiti hanno convocato in modalità online i propri delegati per discutere e dare le indicazioni di voto. 

Il Congresso del Partito Liberale Radicale del Ticino eleggerà il prossimo 22 novembre il successore di Bixio Caprara alla Presidenza e lo farà esclusivamente in modalità digitale, non potendo riunire “in presenza” i delegati. Le rigide restrizioni antivirus in atto non lasciano scampo e quindi i lavori congressuali si terranno in diretta streaming sulla piattaforma YouTube e sul canale Facebook del PLRT, così come il voto che è stato programmato attraverso un sistema elettronico.

Queste radicali trasformazioni hanno comprensibilmente innescato un ampio dibattito sull’uso e sulle criticità delle tecnologie e le libertà individuali politiche, come diritto alla privacy e alla sicurezza dei dati (si pensi al tracciamento dei contagi). 

Ma evidentemente siamo soltanto all’inizio di un dibattito che tocca essenzialmente le prospettive della sfida tra democrazie liberali e derive autoritarie. Un dibattito destinato a crescere e svilupparsi sempre più in futuro per la gestione della crisi economica e sociale che seguirà quella sanitaria.

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