ELISABETTA II. 70 anni di regno e un rapporto speciale con l’Italia

di Cristina Penco

È la regina dei record, Elisabetta II. La fama della sovrana d’Inghilterra ha travalicato da tempo il canale della Manica così come i confini dei Paesi del Commonwealth, appartenenti all’ex impero coloniale britannico, diventando molto conosciuta, ma soprattutto, tanto amata, a livello globale. All’orizzonte, il 6 febbraio, si profila per lei un nuovo traguardo: la più longeva monarca vivente, novantacinquenne, comincerà a festeggiare il Giubileo di Platino, ovvero i settant’anni del suo regno. Che sia un’“occasione per le persone di tutto il mondo di godere di un senso di solidarietà”, ha auspicato Sua Maestà nel suo ultimo discorso natalizio.

Riavvolgiamo i nastri della Storia: nello stesso giorno, il 6 febbraio 1952, con la morte improvvisa dell’amato padre, Giorgio VI, Elisabetta si ritrovò tra le mani, a soli 25 anni, corona e scettro, pesanti come un macigno, su di lei, per la portata del compito a cui era stata chiamata dalla sera alla mattina. Durante i sette decenni al comando, in cui è spuntato sempre di più il pugno di ferro in un guanto di velluto, il mix virtuoso di dignità, rigore e fermezza che l’ha sempre caratterizzata le ha fatto guadagnare il rispetto dei suoi sudditi e di tanti capi di Stato che in questi anni si sono inchinati al suo cospetto non solo per cerimoniale, ma anche come attestato di stima e riconoscimento di una grande leadership come la sua. Dentro e fuori dal Palazzo, sullo scranno istituzionale e nell’ala privata di Buckingham Palace: perfetta rappresentante della dinastia Windsor, Elisabetta II ha mostrato da subito una profonda consapevolezza del suo ruolo, in cui non c’è mai stato scarto tra monarchia e famiglia, dal momento che i due ambiti devono coincidere in qualsiasi istante come note perfettamente all’unisono.

70 ANNI DI LUCI E MISTERI

Certo, in questi settant’anni avremmo voluto sapere di più della “Lilibet” privata, delle sue corde più intime e personali, del suo lato più umano ed emotivo. Di come avrebbe voluto davvero reagire in certe situazioni, e invece si è dovuta trattenere e fare, almeno mentalmente e in cuor suo, più di un passo indietro per lasciare spazio ai suoi doveri da regina. Ma scommettiamo che, se mai tutto ciò ci fosse stato concesso per un attimo, quella piccola e granitica donna ci avrebbe soprattutto incantato raccontandoci aneddoti curiosi sulle folle che l’hanno acclamate e sulla nidiata di politici che ha ricevuto. E retroscena esilaranti sui suoi parenti, a partire da Filippo, l’uomo che, per quasi ottant’anni al suo fianco, l’ha fatta ridere di più in assoluto (e anche arrabbiare di più, come accade, del resto, nei grandi amori). Con buone probabilità, sarebbe uno spasso, perché, come viene confermato da chi l’ha conosciuta molto più da vicino, Elisabetta ha sempre avuto il dono di uno spiccato humor all’insegna delle tipiche freddure anglosassoni. Verrebbe da immaginarla, nella sua dimensione più domestica, come una sorta di Lady Violet Crawley (interpretata dalla quasi coetanea Maggie Smith, classe 1934, un’altra “inossidabile”) di “Downton Abbey”, nota serie Tv in costume, ambientata nei primi del Novecento. Si parla, in entrambi i casi, di due matriarche di famiglie imponenti e impegnative, con tutto il carico di vicissitudini e dinamiche che si portano appresso. Figure di spessore capaci di scuotere, far riflettere, richiamare all’ordine. Provate per un attimo a sovrapporre l’immagine di Sua Maestà a quella della Contessa Madre. Non sembra forse anche a voi che, tra un tè delle cinque, una passeggiata coi Corgi e una spazzolata agli adorati cavalli, Elisabetta II potrebbe tranquillamente lanciare stoccate a destra e a manca senza perdere il suo aplomb?

Ce la vedete a declamare frasi sagge e graffianti della Crawley come “Mai confondere un desiderio per una certezza” o “Da una donna stupida avrai ciò che vuoi, da una donna intelligente avrai ciò che meriti”? Oppure, per contro, potremmo prefigurarcela algida e tagliente, regina sì, ma delle nevi, di fronte alle bizze e alle intemperanze di nuore ribelli come la povera Lady Diana e Sarah Ferguson, con le quali la sovrana deve essere stata tutt’altro che una suocera accogliente e comprensiva. In ogni caso, ci è concesso solo fantasticare, com’è giusto che sia. Perché è proprio qui che risiede uno dei segreti della Corona, fondamentali per la sua stessa sopravvivenza: la distanza tra la Royal Family e il resto del mondo, quell’alone magico che continua a caratterizzare i Windsor da secoli e che rischiano seriamente di compromettere le nuove generazioni, nell’epoca di avvenimenti come la “Megxit” – la frattura che si è creata tra il Palazzo e i duchi di Sussex, Harry e Meghan, con il continuo polverone di polemiche annesse – ma anche il grave scandalo a luci rosse, con il coinvolgimenti di minorenni, in cui è finito Andrea, un tempo il pargolo prediletto di Elisabetta. In un periodo storico in cui i condottieri, in campo imprenditoriale e in quello politico, si dimostrano pavidi, incerti e menzogneri, Sua Altezza Reale non è mai venuta meno alla promessa fatta al suo popolo quando ancora era “solo” una principessa, e di lì a poco si sarebbe trovata a capo di un impero: «Tutta la mia vita, breve o lunga che sia, sarà al servizio vostro e del nostro Paese». Così è stato e continua a essere, anche di fronte all’avanzare dell’età, alla perdita dolorosissima del suo Filippo (“la mia forza”) e le delusioni ricevute da figli e nipoti, diventate di dominio pubblico, quando lei ha fatto della discrezione una delle prime regole esistenziali. Eppure gli acciacchi fisici e le crepe nel cuore non hanno scalfito la lucidità della mente di Sua Maestà, che fino all’ultimo intende onorare i suoi compiti.

IL LEGAME SPECIALE CON L’ITALIA

Elisabetta II e Filippo di Edimburgo con il presidente Gronchi nel 1961. Fonte: archivio Quirinale

Prelibatezze culinarie (come l’agnello preparato dalle cucine del Quirinale), materie prime di pregio (per esempio l’olio sardo e quello pugliese), bollicine d’autore (il prosecco trevigiano). Ma anche cultura e persino moda, a partire dalle scarpe preferite, quelle del designer Anello & Davide, azienda calzaturiera con sede a Covent Garden, fondata dai fratelli Gandolfi negli anni Venti. È fatto di tutto questo, e molto altro, il nesso che lega la sovrana inglese all’Italia.

Un rapporto speciale, quasi una storia sentimentale, come ha spiegato Ilaria Grillini nel suo recente libro “Elisabetta, la regina italiana” (Rai Libri). Nel volume, così come in quello di Lavinia Orefici, “Elisabetta dalla A alla Z” (Mondadori Libri S.p.A. per il marchio Piemme, 2020), si parla anche dei viaggi della monarca britannica nella Penisola, con tanti curiosi aneddoti e testimonianze. In tutto furono cinque le visite nel Belpaese della madre del principe Carlo, erede al trono inglese: una da principessa e quattro da sovrana. La prima fu nell’aprile 1951: Elisabetta e Filippo, sposatisi nel novembre del 1947, andarono alla scoperta della Città Eterna e festeggiarono il venticinquesimo compleanno di lei a Villa Adriana, a Tivoli. Nel 1961 la regina fu accolta dal presidente Giovanni Gronchi.

Nel 1980, incontrando Giovanni Paolo II, divenne il primo sovrano britannico a compiere una visita di Stato in Vaticano. Nel 2000 il suo arrivo all’aeroporto di Ciampino coincise con l’atterraggio di charter pieni di tifosi dell’Arsenal, pronti ad assistere alla partita di Champions League della loro squadra contro la Lazio. L’ultima volta, nel 2014 (dopoché l’anno precedente erano saltati i piani per un malanno imprevisto di Elizabeth), fu un tour de force di nemmeno ventiquattr’ore passate tra il Quirinale, per una colazione con l’allora presidente Giorgio Napolitano, e l’udienza in Vaticano da Papa Francesco. Durante le “gite” italiane non sono mancate tappe regali a Torino, a Venezia, a Firenze e a Milano, solo per citare alcune delle più famose. Grillini, inoltre, ha ricordato anche una breve, ma significativa parentesi avvenuta cinque giorni dopo la strage di Capaci e la morte del giudice Giuseppe Falcone. Era maggio 1992. Elisabetta avrebbe dovuto andare a Malta a bordo del Britannia, il panfilo della famiglia reale, ormeggiato a Palermo (dove si era già recata, in ben altre circostanze, negli anni Ottanta). Una volta atterrata all’aeroporto del capoluogo siciliano, Elisabetta II ha voluto recarsi sul luogo e deporre una corona accanto a quella del presidente della Repubblica, restando molto scossa nel vedere cosa era accaduto. Del resto la monarca ha sempre amato profondamente le persone coraggiose, determinate, volitive (purché non costituissero una minaccia in alcun modo la stabilità della monarchia, e dunque della sua famiglia). Non per forza quelle che gridano e sbattono i pugni, ma quelle che sanno esserci sempre, anche e soprattutto con la loro presenza silenziosa. E che, se parlano, agiscono concretamente. Gliel’aveva insegnato suo padre, Giorgio VI, certo non cuor di leone per indole, non prescelto, per nascita, per governare una nazione, men che meno durante gli assalti nazisti, ma diventato, con pudore e dignità, sovrano per sorte, dopo l’onta dell’abdicazione del fratello David, Edoardo VIII.

Il padre di Elisabetta fu proprio quel “re balbuziente” che seppe arringare un’intera nazione annunciando l’entrata in guerra del Regno Unito contro la Germania, superando in primis le sue paure e i suoi limiti, mosso dal senso del dovere e dal rispetto per i suoi sudditi. Senza mai spostarsi di un centimetro, con la moglie Elizabeth Bowes-Lyon, da Buckingham, nonostante il palazzo fosse nel mirino dei bombardamenti. “Oggi abbiamo bisogno di un tipo speciale di coraggio. Non quello necessario in battaglia, ma quello che ci fa difendere tutto ciò che sappiamo essere giusto, vero e onesto. Abbiamo bisogno di quel coraggio che può resistere alla sottile corruzione dei cinici, in modo da poter mostrare al mondo che non abbiamo paura del futuro”. Lo disse Elisabetta II nel suo discorso natalizio del 25 dicembre 1957. Oggi le parole della longeva sovrana che sta per tagliare il traguardo dei settant’anni del suo regno suonano più attuali, e più vere, che mai.

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