Il microbiologo, tra le più autorevoli voci scientifiche del nostro paese, vanta una lunga carriera all’estero. E, entrato in politica, ha le idee molto chiare su cosa fare per tutti gli italiani espatriati
Che cosa significa emigrare, il dottor Andrea Crisanti, microbiologo e direttore del dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, lo sa bene. Dopo la laurea conseguita alla Sapienza di Roma, come tante menti brillanti, lascia l’Italia. Prosegue i suoi studi all’Istituto di Immunologia di Basilea. Comincia a lavorare presso il reparto di biologia molecolare dell’Università di Heidelberg, in Germania. Dal 1994 è docente di parassitologia molecolare presso l’Imperial College di Londra, dove diventa professore ordinario nel 2000. “Richiamato” in Italia nel 2019, dall’ateneo padovano, diventa popolare grazie al suo contributo prezioso durante la pandemia. Candidato come capolista al Senato per il Pd nella circoscrizione Europa, Crisanti ci spiega il suo programma.
Lei è indubbiamente un esempio di successo di un certo tipo di emigrazione. Quale valore aggiunto crede di dare se dovesse essere eletto, tenendo conto che dovrà rappresentare persone con molte e differenti necessità?
“Come loro, anche io ho dovuto affrontare i problemi dei tanti italiani emigrati che per affermarsi professionalmente e realizzare le proprie ambizioni di vita hanno lasciato il nostro paese. Come loro, anche io ho vissuto i disservizi che spesso toccano la quotidianità degli emigrati. Gli italiani all’estero pagano un deficit di rappresentatività che si ripercuote nella qualità dell’accesso ai servizi consolari, nella tassazione e sulle pensioni. Problemi da anni presenti e mai del tutto risolti. Io intendo dare voce alle difficoltà che i nostri connazionali all’estero riscontrano nel farsi ascoltare dalle istituzioni. Voglio costruire un rapporto diretto tra la comunità all’estero e le istituzioni centrali, che molte volte è stato carente. Anche per questo ho messo a disposizione dei cittadini un numero verde e un indirizzo mail per far sì che, chiunque lo voglia, possa contattarmi ed esprimere direttamente i propri dubbi, domandare le curiosità e avanzare proposte per migliorare la vita degli italiani all’estero. Loro rappresentano. Grazie alla mia professione di docente e di ricercatore ho conosciuto italiani e italiane di tutte le età che possiedono un bagaglio di conoscenze scientifiche, tecniche, manageriali e imprenditoriali notevoli e importanti per aiutare l’Italia ad affrontare le prossime decisive sfide per il suo futuro. Io intendo offrire le mie conoscenze e competenze per costruire un’Italia migliore di quella che abbiamo lasciato. Un’Italia che sappia valorizzare il merito, la competenza e la solidarietà. Un paese in cui la decisione di emigrare rappresenti un’opportunità e non più una soluzione ai problemi”.
I cittadini italiani all’estero denunciano carenze nei servizi consolari. Secondo lei che cosa è urgente e utile fare per un cambio di rotta e servizi migliori?
“I cittadini all’estero denunciano giustamente la lentezza e l’inefficienza dei servizi consolari. È una situazione che si protrae da anni e nessun ha mai voluto trovare una soluzione efficace. Il numero degli italiani residenti all’estero è aumentato considerevolmente negli ultimi anni ed è destinato a crescere. Tuttavia, questo aumento della popolazione italiana all’estero non è stato seguito da interventi sufficienti in termini di personale consolare, finanziamenti e riforme per far fronte alle necessità burocratiche dei connazionali all’estero. Per velocizzare questi servizi e garantire una maggiore efficienza nel rilascio di documenti come passaporti, carte d’identità e l’equipollenza dei titoli di studio, punterò su una decisa digitalizzazione dei servizi anagrafici, un rafforzamento della rete consolare, investendo sul capitale umano, sul maggiore finanziamento dei Comites e dei CGIE, attualmente inadeguati per il tipo di funzioni che devono assolvere, e sull’applicazione del protocollo tra consolati e patronati all’estero per offrire al cittadino le informazioni e l’assistenza di cui necessita”.
Negli ultimi anni le questioni fiscali e dell’IMU hanno sollecitato e disorientato molti di noi all’estero. Qual è il suo pensiero e cosa pensa sia necessario fare per la difesa dei nostri diritti?

“Le questioni fiscali per i residenti all’estero sono estremamente complesse. Gli italiani all’estero sono spesso soggetti a un regime fiscale iniquo che penalizza i redditi medio-bassi e non facilita il rientro dei capitali. Dunque, è facilmente comprensibile che un tema del genere sia prioritario. Su questo argomento, però, le proposte del Partito Democratico sono chiare e io le sostengo convintamente. È necessario apportare delle riforme per semplificare il labirinto burocratico rendendolo più trasparente. Riguardo al tema dell’IMU, io credo che l’IMU sulla prima casa in Italia andrebbe abolita, così come la tassa sui rifiuti. Per chi vive all’estero, infatti, la prima casa in Italia è un legame fondamentale con il paese d’origine, oltre che essere necessaria da un punto di vista pratico, per cui dovrebbe essere considerata dal fisco al pari di una abitazione principale”.
È un dato ormai acclarato quello che vede l’emigrazione italiana all’estero in netto aumento prevalentemente per ragioni economiche e professionali. La percezione che si ha è che in Italia noi non riceviamo la giusta considerazione. Crede che sia un problema legato agli strumenti rappresentativi che la legge ci ha accordato o di mancato usi di quegli strumenti?
“Purtroppo, questa percezione degli italiani all’estero è ben giustificata. Nonostante il numero degli italiani e delle italiane all’estero sia aumentato, sembra però che le istituzioni di Roma non siano in grado di dare il peso adeguato alle nostre problematiche. Oltre al problema del deficit di rappresentatività che ho citato prima, e che costituisce una buona parte del problema perché una un numero insufficiente di rappresentanti equivale ad avere minor peso in Parlamento, l’esempio più evidente di questa scarsa considerazione è rappresentato dal livello di finanziamenti ricevuti dai Comites e dai CGIE, che dovrebbero essere gli enti predisposti a fare da tramite tra le comunità italiane all’estero e il Parlamento, e che è assolutamente insufficiente per svolgere tale funzione. Pertanto, credo sia necessario agire sia sul piano della rappresentatività, per ottenere un numero maggiore di senatori e deputati in rappresentanza delle istanze dei cittadini all’estero all’interno delle istituzioni centrali, sia per un rafforzamento di questi organismi di mediazione con finanziamenti adeguati. Inoltre, di fronte al nuovo tipo di emigrazione che caratterizza gli italiani, in particolare sempre più giovani, ritengo sia necessario istituire dei centri di informazione ed assistenza che valorizzi il diffuso tessuto di strutture sociali presenti all’estero, per fornire supporto prima e dopo l’arrivo all’estero”.