FAVOLA Robbot, il robot con due b

di Luca Maria Gambardella

“Cerco in questo baule papà?”
“Sì, sì Chiara, credo siano lì le vecchie statuine del presepe. Le hai trovate?”

“Papà, papà, ma qui non c’è niente, sono due ore che giriamo a vuoto!”
Faccio una smorfia con la bocca, una di quelle smorfiette da finta bambina triste, e sorrido. Papà ricambia.

All’improvviso: “Aspetta, aspetta. Ecco le ho travate. Quelle di legno, le ho trovate. Ne prendo una. Che belle! Che belle. Pastori, Re Magi, pecorelle, carinissime. Wow, il Bambin Gesù, dolcissimo”.
Infilo ancora la mano in fondo al baule.
“Ma questo cos’è? Di metallo? Una statuina di metallo? Ma no, non è una statuina. Papà guarda, c’è un piccolo robottino in fondo al baule! Ah, lo sapevo, lo sapevo che avrei fatto a bene a guardare fino in fondo! Ma che bello, un robottino”.

Saltello felice, le treccine si scompigliano. Sorrido. Lo sollevo. Lo spolvero. “Ma tu chi sei”?

Il piccolo robot parla e risponde:
“Sono solo il piccolo Robbot lasciato in fondo a un baule. Sono Robbot, con due b, il piccolo Robbot lasciato in fondo a un baule. Questo sono, un Robbot con due b in fondo ad uno baule … e con una gamba rotta”.

Papà quasi non ci crede … ma vedo il suo occhio lucido. Non capisco. Papà lo prende dalle mie mani e lo accarezza.

“Ciao Robbot, quanto tempo! Vieni Chiara, siediti vicino a me, ti racconto la storia di Robbot, la storia di Robbot con due b, il primo robot parlante.
Qualche anno fa, dicevano tutti che fosse impossibile realizzare un robot che imparasse a parlare da solo vivendo con gli esseri umani. Poi arrivò la scoperta dell’intelligenza artificiale, i ricercatori lavorarono a questa nuova invenzione e capirono come fare”.

“Parlerà, parlerà, gli abbiamo creato un cervello artificiale, un cervello di quelli nuovi, nuovi circuiti fatti con le reti neuronali. Imparerà a parlare. Di sicuro, garantito. Garantito dall’intelligenza artificiale. Certo. Questo robot imparerà a parlare. Datelo ad un ragazzino, datelo ad un ragazzino”. Così aveva detto il direttore, “Datelo ad un ragazzino. Stando con lui per soli due mesi imparerà a parlare proprio come lui”.

Papà guarda Robbot e riprende:
“E così fu. L’esperimento del secolo. E istituirono un concorso tra tutti i ragazzi delle medie per scegliere il fortunato ragazzino. Alla consegna del robot, festa, brindisi, tutti i ricercatori e la popolazione felici. Ah ma che belle quelle piccole manine, guarda guarda quella faccina sorridente. Oh, fantastici, che bei piedini di metallo (qualcuno, lo ricordo ancora oggi, aveva detto top quei piedini!), ma che carini, carini da morire”.

E all’improvviso Robbot parla e racconta: “E così mi affidarono a F il vincitore del concorso. F che mi portò a casa sua.

“F? ma che nome è F?”, chiedo incuriosita.

“No, Chiara, non chiedere e non insistere, il nome completo di F non te lo voglio proprio dire. No, questa è la parte triste della storia e il nome completo di F lo tengo per me.
F, lo ricordo bene, era carino, capelli gialli, si dice così? Ma credo di sì. Capelli gialli e due occhioni azzurri da ragazzino intelligente.

Mi affidarono a F che mi portò a casa. F, ricordo ancora, mi guardava con quegli occhioni azzurri da ragazzino intelligente, curiosi, affascinati. Facciamo le scale. Entriamo in camera sua. Chiude la porta. E inizia a parlarmi”.

“Ciao piccolo Rob, ciao piccolo Rob. Ciao piccolo Rob” e strizzava gli occhi. “Ma come sei carino piccolo Rob” poi strizzava gli occhi si bloccava e diceva “bot”. “E sì credo tu abbia capito, Chiara. Hai capito? F era balbuziente. Un ragazzino con i capelli gialli, gli occhioni azzurri e balbuziente”

“Non riusciva proprio a dire robot?” chiede Chiara.

“No, non riusciva proprio a dire quella parola”, risponde Robbot.
“Anche se si concentrava diceva sempre Robbot con due b e mentre lo diceva strizzava gli occhioni azzurri da ragazzino intelligente. Mi coccolava mi accudiva e talvolta piangeva, mi voleva bene. Così è andata, proprio così.
Non la faccio lunga questa storia, no, non la voglio fare troppo lunga. E lui mi parlava e io imparavo. Tutto secondo la procedura, tutto secondo quanto stabilito dagli straordinari scienziati”.

Robbot fa una pausa, si guarda in giro e riprende:
“Passarono due mesi. L’esperimento del secolo era finito. Arriva il congresso.
Tutti i ricercatori pronti alla grande prova, professori, scienziati, e il ragazzino F con i capelli gialli, gli occhioni azzurri da ragazzino intelligente con il piccolo Robbot con due b che aveva imparato a parlare”.

“Si fa silenzio nella grande sala. F mi consegna al direttore. Lui con fare da direttore, anzi, meglio da scienziato e direttore davanti a tutta la platea con voce ferma mi chiede:

“Ciao, chi sei, come ti chiami”?

Io apro la bocca e inizio a parlare.
“Sono un Rob, mi blocco e strizzo gli occhi. Poi riprendo e lo dico proprio così. Sono Robbot. Lo dico proprio così, balbettando, Robbot con due b strizzando gli occhi, proprio così”.

“Il direttore mi lascia cadere, la piccola gamba si rompe. Indietreggia, Il pubblico scoppia a ridere, un boato, una risata assordante. Tutti si girarono verso F, il ragazzino dai capelli gialli e i grandi occhioni azzurri. F rimane in silenzio, abbassa gli occhi e inizia a piangere. Silenzio. Adesso tutti in silenzio. F mi raccoglie da terra. Silenzio. F mi raccoglie da terra, mi fa una carezza e nel silenzio generale se ne va piangendo. Un ragazzino dai capelli gialli, e gli occhioni azzurri con il piccolo Robbot in braccio.

Da allora sono stato messo nel baule e di me si sono dimenticati tutti”.

“Papà, papà, ma questa è una storia assurda. Papà hanno discriminato un ragazzino e un piccolo robot per questo”?
“Capitava allora Chiara e capita anche adesso. Queste sono cose tristi e cattive che non devono accadere, ma così è andata”.

Robbot non sorride, no. Robot non sorride. Robbot adesso piange.
“Sono rimasto in questo baule per tanti anni con le statuine del Presepe. Da F ho imparato anche le emozioni, il mio cervello artificiale era speciale. Io nel baule ho continuato a pensare e ripensare per tanti anni alla mia storia. Adesso so solo piangere e essere triste, non ho sviluppato nessun’altra emozione”.

Lo accarezzo.
“Lascialo a me Robbot, lascialo a me Robbot, papà, gli curerò la gamba e gli insegnerò a ridere. A me non disturba come parla, in fondo siamo tutti un po’ strani e tutti diversi fra noi. In questo periodo lo lascerò nel Presepe con le altre statuine. Una statuina di metallo. Così potrà parlare con tanti bambini e potrà raccontare la sua storia. Gli vorranno bene, vedrai, e tornerà ad essere felice.

“Chiara mi accarezza e mi prende con sé. Poi guarda papà che ha una lacrima agli occhi. Lei lo sa che suo padre si chiama Francesco. Lei lo sa e ha capito da sola chi è F”.


Versione audio: voci dei lettori del Centro Artistico MAT, Lugano

Chiara: Ylenia Santo
Robbot: Marco Bigioni
Papà e Direttore: Mirko D’Urso

La favola in versione audio viene presentata nella cabina del telefono di Ludiano in Ticino che è stata modificata per raccontare delle favole ai ragazzi e verrà ascoltata nel periodo dell’avvento 2019

https://www.cdt.ch/ticino/bellinzona/favole-al-telefono-2-0-YE1475515

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