Festival di Sanremo: davvero tanto rumore per nulla?

Sembrerebbe così, visto che il dibattito su di un festival di canzonette dilaga ovunque in un paese come il nostro, in una piena pandemia rispetto alla quale non si è capito ancora da quale ondata si sia travolti in questo momento e con una crisi di governo in atto della quale non vogliamo pronunciarci se si sarebbe potuto fare a meno. 
Pesanti le parole del virologo Andrea Crisanti che a proposito di ciò parla di “inaridimento dei nostri sentimenti”, come se ci fossimo abituati all’idea di cinquecento morti al giorno e che la vexata questio al momento verta sulle sorti del festival.
Probabilmente se la questione avesse preso un’altra piega non saremmo caduti così in basso, nel solito chiacchiericcio pre-festival che sembra cercare ogni anno una scusa per far parlare di sé.
Mi spiego meglio: esattamente settant’anni fa, il 29 gennaio 1951,  il festival nasceva con uno scopo decisamente commerciale, ossia rilanciare il turismo nella stagione morta, quella invernale, in quella Sanremo che d’estate era invece affollatissima per il mare e il casinò. All’inizio passò un po’ inosservato ma già dal primo podio con “Grazie dei fiori” cominciò a far parlare di sé: circostanza mai più interrotta, visto che il 2020 pare essersi fermato nel suo scorrere normale al “dov’è Bugo?” della scorsa edizione che in pochi giorni era diventato quasi proverbiale. 
Ecco, vista l’innegabile influenza che una manifestazione come il festival ha su un indotto in profonda crisi come quello della musica, (soprattutto negli ultimi anni, con una presenza sempre più solida di artisti amati dai giovani che sono i maggiori consumatori di musica), probabilmente ci sarebbe piaciuto un tipo di dibattito diverso. 
Magari a un tavolo di lavoro a cui fossero la direzione artistica, i vertici della Rai, il Ministero delle Politiche Economiche e quello del Turismo e dello Spettacolo. E nel quale individuare soluzioni in modo razionale, che potessero salvare la salute pubblica ma risollevare anche un po’ l’economia del comparto, e traducendolo in uno spettacolo televisivo da record come non mai, anche all’estero, dove la voglia d’Italia in questo anno difficile supera ogni precedente. Forse se ci si fosse impegnati un po’ di più a cercare soluzioni per i teatri e i cinema come per i supermercati o i locali pubblici a quest’ora la soluzione sarebbe più facile, a pochi giorni dalla kermesse.
Invece ci troviamo di fronte a siparietti su twitter o instagram tra un ministro e un presentatore, a minacce di abbandono “senonsifaconmedicoio” e a intransigenze nel – giustissimo- rispetto delle regole dall’altra parte. No, non sono solo canzonette, questa è la verità. E ogni occasione dovrebbe essere la migliore per consentire al paese di camminare e vivere. Ma il buon senso è una strada difficile da percorrere, sono più forti i tamtam dei social che ci bombardano di polemiche di cui in molti faremmo volentieri a meno: ovvio che poi si parli di inaridimento degli animi, se le questioni sono queste.
La musica – specie certa musica, è provato scientificamente- amplifica le capacità dell’ingegno. Magari ascoltarne un po’ di più da parte di chi abbiamo delegato – con elezioni o con l’auditel- a decidere le cose per noi non sarebbe una cattiva idea…

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