Finisce BoJack Horsman e comincia Beastars

Quando su Netflix i documentari sono su di noi

Mi rendo conto di scrivere un articolo che fa un certo tipo di riconoscimento a un marchio come Netflix, quindi mi scuso a priori per le varie sensibilità commerciali. Tuttavia siamo in tempi di isolamento, soprattutto per chi vi scrive dall’Italia, come il sottoscritto. Quindi mi immagino una nazione che resta a casa e che si connette ai propri nuovi generi di conforto. Le serie televisive sono una di queste e così, come i fumetti hanno superato in qualche modo la grande muraglia della libreria generalista, passando oltre l’edicola, anche i cartoni animati hanno piano piano aggirato lo strapotere disneyano. Riusciamo a vedere cose che assomigliano ai Simpson, riusciamo a vedere qualche anime giapponese come “ai vecchi tempi”. Riusciamo però a vedere anche qualcosa di nuovo e tra tutti c’è il cavallo Bojack, della serie tv animata: BoJack Horseman.

BoJack Horseman è una serie animata statunitense, creata da Raphael Bob-Waksberg per Netflix. La serie è disegnata dalla fumettista Lisa Hanawalt ed è caratterizzata da uno stile estetico molto semplice e crudo e, soprattutto, dalla convivenza di umani con animali antropomorfi. Negli Stati Uniti la serie vanta la partecipazione di numerose celebrità e di personaggi famosi; nella versione italiana sicuramente no, però non è questo il punto.

In una Hollywood da Animal Planet, BoJack Horseman è una star di Horsin’ Around, uno show anni Novanta. Partito dal nulla, un picco di fortuna nella vita, che gli costerà tutto il resto, quando si ritrova senza nulla da fare e con poca fama da parte, pianifica un’autobiografia scritta dalla ghostwriter Diane Nguyen. La spinge a descrivere non solo il mondo hollywoodiano, ma anche il culto delle celebrities e l’industria cinematografica. Certamente tutto vero, ma non solo.

Forse grazie all’uso degli animali, la serie di BoJack può essere vista a più livelli e diventa una riflessione amara sull’ego e sul suo ruolo nel mondo moderno. Riflette i rapporti sociali, le forme che assumiamo come i colori di camaleonti da città, con i nostri amici, nella giungla del nostro lavoro e della nostra vita privata. Abbiamo tutti un amico ragno, che ci mette in connessione con un’amica gatto o un amico cane. Abbiamo tutti un cavallo, dentro di noi, che dorme in piedi e che non riesce a prendere sonno. Perché non sa cosa fare, cosa dire e come comportarsi. Perché è solo, nonostante tutto e nonostante tutti.

Con ironia e tinte forti di tristezza, BoJack Horseman parla di noi occidentali. Degli americani, dei californiani, degli europei. E si conclude con la sesta stagione, a mio avviso con due finali: uno per gli europei (penultima puntata) e uno per gli anglosassoni (ultima puntata).

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Sempre in tema di animali antropomorfi “parla” anche un anime, Beastars. È un manga scritto e disegnato da Paru Itagaki e pubblicato in Giappone, a partire dal settembre del 2016 sul settimanale Weekly Shōnen Champion. La serie è ambientata in un mondo popolato da animali antropomorfi, in cui, nonostante la convivenza tra carnivori ed erbivori, vige ancora un certo pregiudizio nei confronti dei primi. Il manga è stato premiato con numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Manga Taishō, il Premio culturale Osamu Tezuka e il Premio Kodansha. Netflix presenta la serie animata anche in italiano e, di solito, ci sono sempre pregiudizi su come animare un buon prodotto cartaceo. Anche in questo caso – sarà per la modalità internazionale dei ruoli animaleschi – si riesce ad accedere a una profondità impressionante.

Forse il successo di questi mondi animali, di questi lupi e cavalli che hanno un sacco di cose da dire e da imparare, che parlano come noi e che fanno cose come noi, sta nel loro cambio di punto di vista. Siamo andati oltre le riflessioni sul ruolo sociale e sul genere.

Forse, laddove non ha più senso chiedersi cosa significa essere uomo o donna, ha più valore chiedersi se si sia più carnivori o erbivori. Tigre, leone, lupo, lepre. Ma anche gufo, ragno, pantera. Il mondo è vario e i caratteri naturali possono essere un passaporto per descrivere ancora meglio la società senza per forza usare terminologie astratte o laconiche. I libri possono dirci qualcosa, così come i fumetti. I film ci dicono molto, così come lo possono fare le serie TV e i cartoni animati.

I miei sono consigli, comunque. Come se fossi un gatto da divano.

 

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