Gender pay gap: ma che senso ha?

di Cristina Penco

Foto: si può correre insieme senza disparità di trattamento, anche economico

Quando la madre della popstar Cher pensava al futuro della figlia, che all’epoca stava muovendo i primi passi nel mondo della discografia, cercava di convincerla a smettere di cantare. Avrebbe dovuto darsi sempre da fare, ma in un’altra direzione, quella necessaria, secondo lei, a trovarsi un uomo ricco: di questo si sarebbe dovuta preoccupare la ragazza, per il genitore. Cherilyn – il vero nome dell’artista – ebbe la prontezza e l’ironia di replicare: «Mamma, l’uomo ricco sono io». Non stava mentendo, anzi, guardava avanti, oltre l’orizzonte del momento.

Oggi il patrimonio netto della diva è di circa 360 milioni di dollari. Cher è l’unica cantante che possa vantare almeno una canzone al numero 1 della Billboard Hot 100 in sei decenni differenti, dagli anni Sessanta fino agli anni 2010. Il suo più grande successo, Believe (1998), con oltre 10 milioni di copie acquistate dai fan, è il singolo più venduto da una cantante donna in Inghilterra e, nello specifico, il più venduto del 1999. Ha vinto un Premio Oscar come migliore attrice protagonista per Stregata dalla luna (1987), un David di Donatello come migliore attrice straniera, il Prix d’interprétation féminine a Cannes, un Grammy Award, un Emmy Award, tre Golden Globe e un People’s Choice Award per i suoi contributi nel cinema, nella musica e nella televisione. E questo solo per ricordare alcuni dei suoi numerosi successi, in termini economici e di prestigio. Quell’alzata di capo di Cher, piena di orgoglio e ambizione contro certi stereotipi, tuttora comunque persistenti, è avvenuta quasi un secolo dopo da quando la scrittrice Virginia Woolf, pensando alle giovani «affamate e coraggiose», aveva invitato a garantire a ciascuna di loro «una stanza tutta per sé e 500 sterline l’anno». Perché indipendenza, affermazione lavorativa e denaro vanno di pari passo, come aveva già ben chiaro in testa la Woolf, alla fine dell’Ottocento.

Ci sono volute molte decadi, insomma, prima che Cher e tante altre, nella musica e in tanti altri contesti professionali un tempo presidiati solo dal genere maschile, arrivassero a sfondare i famosi “tetti di cristallo”. Eppure, ancora oggi, sembra che conti bancari a più zeri, imprese fiorenti che generano indotti stellari e statuette d’oro non siano ancora sufficienti ad abbattere del tutto problemi come la segregazione settoriale e il gender pay gap, ovvero il divario salariale tra i sessi. Disuguaglianze e discriminazioni, barriere all’apparenza invisibili ma reali, che ostacolano il pieno raggiungimento della parità dei diritti e la realizzazione delle donne fuori dal focolaio domestico. Dalle industrie produttive alla ricerca e alla scienza, fino alla sfera artistica e creativa, ci sono esempi femminili fulgidi, modelli di emancipazione ed empowerment. Eppure, in molte parti del pianeta i posti di comando e le sale decisionali sono tuttora preclusi alle donne. E non si pensi che ciò accade solo nei Paesi meno sviluppati: anche in quelli dove abbonda il benessere materiale, le resistenze culturali sono dure a morire. Non a caso l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, punti ad abbattere certi muri e a riempire divari, a partire da quello che crea il divario retributivo di genere. Nella contemporanea Unione Europea, secondo i calcoli, le donne guadagnerebbero il 14% in meno rispetto agli uomini. La pandemia ha allungato i tempi “di recupero”: in base al Global Gender Gap report del World Economic Forum, infatti, per chiudere il gap tra le une e gli altri saranno necessari 267,6 anni, se continueremo di questo passo. Potrebbe essere più “veloce” – si fa per dire – l’evoluzione complessiva, tenendo conto dei 4 ambiti di analisi del report (politica, economia, educazione e salute), che vedrà l’uguaglianza raggiunta entro 135,6 anni, rispetto ai 99,5 anni ipotizzati solo dal rapporto precedente.

Non è sufficiente, di per sé, la presenza femminile sui posti di lavoro e alle plance di comando. E per ottenere stipendi e compensi lauti e paritari occorre lavorare sodo e attivamente sull’istruzione, partendo da programmi educativi adeguati. La formazione nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), per esempio, è considerata una chiave di volta fondamentale per permettere al genere femminile di essere sempre protagonista in campo professionale ed economico. È proprio sul denaro che si disputa una delle partite chiave della parità reale tra i sessi, perché «è il potere più grande», come fanno notare Chiara Tagliaferri e Michela Murgia in “Morgana. L’uomo ricco sono io”, appena uscito per Mondadori. Altro che argomento volgare e poco edificante, secondo quanto è stato fatto credere ed è stato ripetuto per tanto tempo, invitando signore e signorine a ricorrere a temi più bon ton – leggasi, più innocui – nella conversazione. Non a caso – fanno notare anche le due autrici – la memoria collettiva ha conservato e riproposto, di Virginia Woolf, solo la prima parte della citazione, la «stanza tutta per sé». Dei quattrini necessari per potersela permettere, a mantenersi e ottenere altro, sono state quasi cancellate le tracce.

E dire che, attualmente, tra le persone più abbienti del pianeta ci sono illustri rappresentanti femminili. Tra i miliardari svizzeri più ricchi figurano le sorelle Magdalena Martullo Blocher e Rahel Blocher (rispettivamente 9,46 miliardi di dollari e 9,24 miliardi di dollari), figlie del politico democentrista Christoph. Hanno seguito il padre nel ramo imprenditoriale nel gruppo che produce e commercializza prodotti chimici Ems, gestito dalla famiglia Blocher da decenni. Vera Michalski-Hoffmann e Maja Hoffmann (7,17 miliardi di dollari a testa) sono le pronipoti di Fritz Hoffmann-La Roche che ha fondato l’omonima compagnia farmaceutica nel 1896 (dati Bloomberg Billionaire Index, che monitora il patrimonio delle 500 persone più ricche del mondo). Ma anche il Belpaese offre un parterre degno di nota. In base alle classifiche Forbes, dopo Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, l’uomo più ricco d’Italia con un patrimonio netto di 32,3 miliardi di dollari, in seconda posizione troviamo la donna più ricca della Penisola tricolore, Massimiliana Landini Aleotti, proprietaria del gigante della farmaceutica Menarini che, con 10,5 miliardi di dollari, ha battuto l’imprenditore ed ex premier Silvio Berlusconi e lo stilista Giorgio Armani. E poi, ancora, troviamo Miuccia Prada (4,8 miliardi di dollari), Alessandra Garavoglia, che ha ereditato la sua partecipazione nel gruppo Campari dai suoi genitori e ora possiede circa il 24% della società (4,3 miliardi di dollari), Giuliana Benetton con i suoi 3,7 miliardi, Marina Prada (2 miliardi), Giuliana e Marina Caprotti, rispettivamente moglie e figlia di Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, scomparso nel 2016 (1,7 miliardi entrambe) e, ancora, Emma Marcegaglia dell’omonimo gruppo siderurgico (1,4 miliardi).

Non è solo questione di essere nate in famiglie già estremamente benestanti: senza preparazione, capacità di scegliere i gusti collaboratori, strategie efficaci e visioni lungimiranti difficilmente possono rimanere in piedi, sul lungo periodo, veri e propri colossi aziendali, persino tra quelli più storici e rinomati. Se poi parliamo di imprenditoria, ricchezza e successo al femminile sul fronte dei più giovani Millennials, come non citare Chiara Ferragni. È una delle influencer italiane più seguite del mondo con più di 24 milioni di follower su Instagram e 4,5 milioni su Tik Tok. Il successo in Rete va di pari passo con l’ingente guadagno monetario: secondo quanto riportato da Milano Finanza, in totale la Ferragni, con le sue società, ha registrato un giro d’affari di 19 milioni di euro nel 2020. Essere consapevoli del proprio valore economico, non solo imprenditoriale, manageriale, intellettuale, è fondamentale perché è da quanto si guadagna che dipende la realizzazione di altri sogni, anche legati al business, o gran parte di essi, contribuendo a rendere più ricco il contesto che ci circonda e a offrire nuove opportunità ad altri. Ad altre.

Come è stato sottolineato da più parti, le donne, spesso, sono capaci di trasformare il denaro in qualcosa di creativo e riescono a fare investimenti in grado di cambiare la loro vita, anche partendo da disagi socioeconomici e finendo per avere un impatto concreto e incisivo sulla realtà attorno a loro. «Se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi ad una donna», diceva l’ex premier britannica Margaret Thatcher.

Oprah Winfrey
, oggi regina della tv americana, un tempo bambina cresciuta in mezzo a stenti e abusi, ha dimostrato al mondo intero che la sua “leadership emotiva”, basata sull’empatia che ha da sempre caratterizzato le sue interviste e i suoi storytelling, si è tramutata in ricchezza (oggi una un patrimonio di 2,5 miliardi di dollari). E che la sensibilità può essere una forma di carisma, che può portare pure a sedere al comando, a dispetto di polverosi luoghi comuni. Con alle spalle anni complicati segnati da difficoltà economiche e depressione, la scrittrice J.K. Rowling è arrivata a essere più ricca della regina Elisabetta II: possiede quasi il doppio degli introiti della sovrana – circa 500 milioni di sterline contro 270 – e ha venduto 500 milioni di copie a livello globale di Harry Potter. Una saga che, all’inizio, nessuno voleva pubblicare e che, alla fine, ha riempito scaffali ha fatto tintinnare le casse delle librerie e, soprattutto, ha rivoluzionato il fantasy e il mondo letterario in generale. L’autrice del libro sul celebre maghetto ha fatto su di sé la sua magia più sorprendente: è stata la prima persona a diventare miliardaria grazie a un libro.

La cancelliera Angela Merkel – con un net income di oltre 11 milioni di dollari, secondo le stime – ha avuto il merito di rispostare il focus dell’attenzione su serietà e competenza, autorevolezza e sobrietà a partire da tavoli istituzionali peraltro preclusi, per anni, alle donne. Sheryl Sandberg è l’anima finanziaria di Facebook. E da anni è anche attivista per i pari diritti, volto e sostenitrice di molte campagne di sensibilizzazione sull’”Equal Pay”, la parità retributiva tra generi. Uno dei motivi per cui le donne guadagnano meno – ha spiegato – è anche perché spesso hanno timore di chiedere. Lei ha imparato a farlo, ed è per esempio così che, trattando con Mark Zuckerberg, padre del gigante hi tech di Menlo Park, in fase di assunzione, ha ottenuto l’ambita posizione di COO (Chief Operating Officer). «Sei consapevole che mi stai assumendo per gestire i tuoi affari, quindi vuoi che io sia brava a negoziare. Questa è l’unica volta che io e te saremo dalle parti opposte del tavolo», affermò Sandberg di fronte a Zuckerberg. Ottenne di più di quello che le fu offerto all’inizio. Ha scritto e pubblicato Lean It, Facciamoci avanti, quando molti glielo sconsigliavano dicendole che rischiava di mostrare troppa vulnerabilità. Ma – ha commentato lei – occorre imparare a distinguere tra i vari suggerimenti che possono arrivare e andare avanti per la propria strada se si sente che è quella giusta in quel dato momento. Sempre la Sanberg, del resto, è fautrice del motto «Done is better than perfect», «Fatto è meglio che perfetto»: non bisogna ricercare la perfezione all’infinito, obiettivo peraltro impossibile da raggiungere, né avere paura di sbagliare, per quanto sia umano. E questo non è un discorso da leader donna. È un discorso da leader.

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