Giovanni Pascoli, il poeta fanciullino

di Gaia Ferrari

In foto: il poeta- Museo Casa Pascoli

Centodieci anni fa, il 6 aprile 1912, moriva a Bologna Giovanni Pascoli, considerato uno dei più importanti poeti del Decadentismo italiano, nonché una delle voci più sensibili e singolari del Novecento della Penisola e precursore di avanguardie e movimenti dei primi decenni del XX secolo.

Il nido familiare

Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro Pascoli, in provincia di Forlì-Cesena, in Romagna. Figlio quartogenito di Caterina Vincenzi Alloccatelli e di Ruggero Pascoli, ebbe come fratelli Margherita, Giacomo, Luigi, Raffaele, Giuseppe, Ida e Maria (altre due sorelle, un’altra Ida e Carolina, morirono in tenera età). Visse serenamente i primi anni della sua vita nella casa natale di San Mauro, trascorrendo giorni spensierati nella tenuta dei Principi Torlonia chiamata ‘La Torre’, gestita dal padre Ruggero. Nel suo processo di crescita e formazione il poeta fu profondamente segnato da difficili vicende vissute durante gli anni dell’infanzia e della prima giovinezza, che inevitabilmente lo influenzarono a livello personale e artistico. Appena adolescente, Giovanni perse il padre in circostanze misteriose. Il 10 agosto 1867, giorno di San Lorenzo, Ruggero fu ucciso da un colpo di fucile in fronte, mentre rientrava a San Mauro in calesse (trainato dalla famosa ‘cavallina storna’ dell’omonima poesia) dopo essere andato a Cesena per sbrigare alcuni affari. L’omicidio, che rimase impunito, fu un trauma per Giovanni e per i suoi cari. Iniziò così a infrangersi il nido famigliare da cui per tanti anni si era sentito avvolto e protetto. Al tragico evento seguirono per lui altri lutti, dalla madre ad altri fratelli, e lunghi periodi di ristrettezze economiche. Morte e ricordi ossessivi dei suoi defunti saranno una costante nelle sue poesie.

Insegnamento e letteratura

Nel 1873 Pascoli vinse una Borsa di studio presso l’Università di Bologna, guadagnandosi la stima e l’attenzione di Giosuè Carducci, suo professore (nonché primo scrittore italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906). In seguito perse il sussidio per aver preso parte a una manifestazione politica e dovette trascorrere oltre cento giorni in prigione, non potendosi iscrivere al terzo anno di studi. Quando uscì dal carcere, inevitabilmente Giovanni aveva sviluppato una visione diversa del mondo e dell’esistenza, incentrata sulla convinzione di un destino comune di infelicità, che dovrebbe rendere inutile l’odio tra gli esseri umani. Nel 1876, dopo la scomparsa del fratello Giacomo, che fino ad allora aveva svolto il compito di capofamiglia facendo le veci del padre, Giovanni si avvicinò al socialismo. Nel 1880, nuovamente ottenuto il sussidio, riprese gli studi e nel 1882 si laureò con una tesi sul poeta greco Alceo. Iniziò quindi la sua carriera di insegnante e di letterato. Lavorò presso i licei di Matera, Massa e Livorno; ebbe un incarico straordinario all’Università di Bologna, poi fu professore alle Università di Messina, Pisa e Bologna. Vinse prestigiosi concorsi letterari. Nel 1885, realizzando il desiderio delle sorelle di ricostruire il “nido” di San Mauro, portò con sé in Garfagnana le sorelle Ida e Maria. Nel 1905 fu chiamato a succedere al Carducci nella Cattedra di Letteratura Italiana all’Università di Bologna. Morì nel capoluogo emiliano il 6 aprile 1912.

La poetica del fanciullino

In un testo del 1897, ‘Il fanciullino’, Pascoli scriveva che il cuore della sua poetica risiedeva in uno sguardo nuovo, disincantato e senza filtri, come quello di un bambino che scopre per la prima volta la realtà, ovvero, in qualche modo, ricrea il mondo in modo puro e originale, senza filtri Né sovrastrutture. Secondo l’autore quando si nasce si è due fanciulli: uno interiore, destinato a non crescere mai e uno esteriore, che invece diventerà grande. Con il passare del tempo i due smettono di coincidere. Per Pascoli è colui che riesce a mantenere vivo dentro di sé il fanciullino, che si accosta alla realtà in maniera intuitiva e irrazionale, osservando il mondo per la prima volta con stupore e meraviglia. Allo stesso modo anche la poesia deve essere spontanea e non ascoltare la ragione. Essa, dunque, è scoperta e svelamento, che possono essere colti solo dal poeta fanciullo. Ma dal momento che è già insita in ciò che ci circonda, i temi che affronta non devono necessariamente essere alti, grandiosi o illustri. Per questo Pascoli esalta la quotidianità fatta di semplicità, affetti familiari, natura. Basti pensare alla poetica ‘Myricae’, che prende il nome dalla IV bucolica di Virgilio. La metrica, la musica del verso, lontana da quella rigida di impostazione accademica, è più libera, piena di echi e di rinvii, ricca di allitterazioni e assonanze, animata da onomatopee. Suoni, colori e odori si mescolano per creare paesaggi e atmosfere che incantano. Il poeta fanciullo carica gli oggetti di valenze simboliche mediante la propria immaginazione. Il giornalista Giuseppe Prezzolini, che pure non era un grande estimatore di Pascoli, nella sua ‘Storia tascabile della letteratura italiana’ lo definiva “delicatissimo e nello stesso tempo prezioso, spontaneo eppure guastato da riflessioni artificiali”. Un poeta impressionista, legato al suo “piccolo mondo immediato”, così distante dal pur coevo Gabriele D’Annunzio, animato da estroversione, esibizione del proprio io e ricerca di primati e imprese eroiche.  Eppure entrambi fondamentali per la letteratura dei primi del Novecento e per i suoi sviluppi successivi.

UN EPISTOLARIO INTIMO

‘Il fratello ritrovato. Le lettere di Giovanni Pascoli a Raffaele (1882-1911)’ è il titolo del volume che raccoglie l’epistolario tra il poeta e suo fratello Raffaele, pubblicato nel 2017 dalle Edizioni della Normale a cura di Alice Cencetti. Si tratta di 389 missive, che i due fratelli si scambiarono tra il 1882 e il 1911, donate nel 1993 al centro archivistico della Normale di Pisa. Erano vincolate da un unico limite: nessuna pubblicazione se non mezzo secolo dopo la morte di Luigia Pascoli, figlia di Raffaele, avvenuta nel 1965, come da espressa volontà della stessa Luigia.

Le quasi 400 lettere gettano una luce su aspetti oscuri e poco noti della biografia del poeta, legati sia alla sua vicenda familiare, e in particolare ai rapporti con i fratelli, sia ad aspetti della sua carriera: dall’insegnamento liceale alla docenza universitaria, dalla spinosa questione della cattedra romana di filologia dantesca ai rapporti con Carducci, alla genesi e datazione di alcuni componimenti. Le lettere, di cui si riproducono ampi stralci, contribuiscono a tratteggiare un quadro d’ambiente, delineando un interessante e significativo ritratto di famiglia borghese di fronte alle trasformazioni della società italiana alla fine dell’Ottocento. Hanno spiegato gli esperti de la Normale: “Le lettere configurano un Pascoli irretito nelle trame domestiche, ma con sentimenti più che leciti. Nei confronti delle due sorelle, manifesta un attaccamento viscerale: anche il fratello è oggetto di venerazione, fino a quando ‘Falino’, come affettuosamente viene chiamato Raffaele, non si crea un proprio nido e Giovanni a poco a poco riesce a calibrare una più misurata aspettativa nei suoi confronti. Lo stesso del resto avviene con la sorella Ida, a testimonianza che per Pascoli l’universo della propria famiglia rappresentava fonte inesauribile di palpiti e conflitti: un nucleo distrutto e da ricostruire, in cui impegnare le proprie aspirazioni affettive, per vederle perennemente rinnovate o disilluse”. Ha aggiunto Cencetti: “L’epistolario ridimensiona molto il mito di un Pascoli invischiato morbosamente dal legame con le proprie sorelle. È invece interessante vedere Pascoli al di fuori dell’immagine convenzionale di un ambiente al femminile: con il fratello usa un linguaggio più franco, diretto, confessa stati d’animo altrimenti indicibili, racconta, a volte con un linguaggio ostentatamente trivio, anche alcune vicende pratiche della propria vita: ci offrono quindi la possibilità di vedere un Pascoli uomo tra gli uomini ed è forse questo aspetto che in qualche modo la famiglia ha voluto tutelare per così tanto tempo”.

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