Gli incendi invisibili

di Stefania De Toma

“Ogni vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. E’ citazione di uno scrittore del Mali del secolo scorso, Amadou Hampatè Ba. E’ l’Africa che muore di fame, di carestie e epidemie capaci di decimare a milioni, a suggerirci le parole giuste per darci il senso di cosa stiamo perdendo. All’inizio di questa epidemia ci era stato detto, quasi per tranquillizzarci, che “uccide solo gli anziani con patologie”. Ci è voluto troppo tempo per risvegliarci come da un intorpidimento del senso della misura delle cose, quasi d’improvviso come con secchiate d’acqua gelida; e capire quanto terribile fosse quella sentenza di condanna a morte ai nostri genitori, ai nostri nonni, zii, ai vecchi adorabili amici che siamo abituati a incontrare per strada, a persone che sono parte di noi stessi e che , al di là della pensione, sono ancora tessere preziose e attive delle mostre comunità. Capire quanto feroce potesse essere l’impotenza di non poterli assistere nella malattia, in quell’agonia cattiva che toglie il respiro a occhi aperti, l’impotenza di non poterli ascoltare più quando ci sarebbero state ancora tante cose da dire e da sapere da loro. I numeri spaventosi di questa ecatombe, se adattassimo la nostra mente a quella frase dello scrittore africano ci farebbero apparire sequenze di incendi in biblioteche preziose, alcune piccole, altre immense, un po’ come nelle scene finali del “Nome della Rosa”. Quanti incendi, quanti roghi invisibili stanno avvenendo in queste settimane. Patrimoni irripetibili, da cui avremmo avuto ancora tanto da sapere, imparare, che magari abbiamo anche trascurato, e che sono persi per sempre.

Ero amica di un inviato dell’Unità, Mimì Notarangelo. La sua è stata un’esperienza di vita intensa, che l’ha condotto nelle pieghe della vita sociale e culturale della Lucania e di una parte dell’entroterra pugliese in cui era nato, nel 1930. La passione che animava la sua professione l’aveva reso ricco di un patrimonio umano collezionato nell’anima, tanto che, raccolto negli anni un archivio- oggi patrimonio di interesse storico nazionale- ha preso a scrivere libri, come per riordinare il corso degli anni e dei luoghi di cui era stato testimone. La dice tutta un titolo, uno dei più intimi, “C’ero anch’io”.  Ma questa è storia comune di tanti saggisti e storici. Lui, non pago della scrittura, negli ultimi anni della vita prese a fare il racconta storie nelle scuole, ai ragazzi, che in assemblee affollate ascoltavano per ore in silenzio quell’omino senza più muscoli, l’ombra lontana di chi era stato un giovane aitante e vigoroso che le storie le andava a cacciare, a scovare tra la gente. Mimì aveva il volto scavato dalle malattie e dagli anni, eppure aveva il fuoco negli occhi e la voce ferma quando raccontava, un’energia e un vigore che non lo fermavano di fronte al maltempo, alla sedia a rotelle, ai divieti dei medici di uscire. Era un dovere che gli urlava dentro, dire quel che non c’è nei libri di storia.  Le memorie, i nostri vecchi oltre il luogo di tanto amore sono le nostre memorie e la scuola preziosa dal valore impagabile, che provengano da vite avventurose o di quotidianità semplice, ma non di meno utili per guidare i nostri passi e per arricchire i nostri animi.   In queste settimane, a sciami, scompaiono gli anziani di interi paesi, le cui vite, spesso ancora attivissime, vengono spazzate via come da un nuovo pifferaio magico. Ci risuona la voce rotta di pianto dagli spalti del parlamento del deputato bergamasco Daniele Belotti: “Stiamo perdendo i nostri nonni”. Mentre il virus uccide anche in un altro modo, silenzioso e inesorabile: la solitudine, che spegne l’interesse della vita, compresa quella memoria da raccontare che è linfa per la loro mente, affievolisce pian piano le forze e la voglia di resistere, amplifica la tristezza di chi era solo ma poteva almeno uscire a incontrare i propri piccoli mondi. E di chi, abituato ai nipoti, ai figli, ora ha il vuoto totale intorno.  Uscirne più consapevoli di quel che abbiamo, non facciamo che dirlo, sì. Ci resta il telefono per combattere quest’ultimo risvolto del male e farci sentire a loro vicini; e l’essere ligi alle disposizioni per spezzare prima possibile questa catena infernale. Gli incendi australiani parevano indomabili e invece è finita. Possiamo, dobbiamo farcela anche noi.

Foto Archivio Domenico Notarangelo
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