Graffiti al castello di Locarno

di Chiara Lumia

Il castello di Locarno ha una lunga e travagliata storia di edificazione, trasformazione e ricostruzione legata alle alterne vicende del potere politico che ne ha occupato gli spazi nel corso dei secoli. Molte tracce di questi avvenimenti sono impressi nella sua architettura e ne documentano la storia. Tra di esse vi è il grande patrimonio di graffiti (disegni, scritte, incisioni, schizzi e dipinti) che costellano le pareti di quasi tutti gli ambienti.

Si tratta di un corpus importante, anche dal punto di vista quantitativo: censirli, decifrarli ed interpretarli tutti richiederebbe una specifica ricerca.  Come già si è verificato in altri casi simili (penso in particolare agli studi dedicati ai graffiti del palazzo Steri di Palermo) un simile lavoro di certo offrirebbe inusitate possibilità di conoscenza sulle realtà più sfuggenti della storia del castello, della vita che vi si è svolta e su altri ambiti la cui ampiezza è difficile immaginare. 

Alcuni di questi graffiti, specie dei disegni-dipinti, sono probabilmente da ricondurre al XV ed inizio del XVI secolo. La maggior parte invece risalgono al tempo in cui il castello è sede dei lanfogti e dei loro funzionari (1512-1798); in questi anni i lavori di manutenzione ridotti al minimo hanno fatto sì che le superfici si riempissero progressivamente di graffiti, spesso stratificati gli uni sugli altri. 

Le prigioni, in particolare, hanno un repertorio loro proprio, comune del resto a quello delle tante carceri studiate di recente: immagini e scritte che professano innocenza o vendetta o ancora il desiderio di fuga, il bisogno di comunicare con altri individui o di rendere visibili i propri sogni; un reticolo di nomi, iniziali e date, baluardo contro la spersonalizzazione e l’oblio; immagini devozionali quali appigli contro l’afflizione e la solitudine; fino alle strazianti incisioni di piccoli tratti tracciati con strumenti non affilati (un cucchiaio?) realizzati ossessivamente uno accanto all’altro stando seduti per terra.

La ‘scrittura muraria’ di uno spazio (oggi la sala 26) originariamente parte del camminamento di ronda visconteo, trasformato forse già dai Rusca (1439-1512) poi ancora intorno alla metà del Settecento ed infine impiegato come prigione durante il XIX secolo, è stata di recente censita e sottoposta ad una prima analisi da Diane Hanon, nel corso della tesi di laurea bachelor in Conservazione I graffiti di una prigione del castello di Locarno – Conoscenza della sala 26 (SUPSI-DACD, relatrice C. Lumia, correlatrice M. Caroselli, 2020). I dati emersi, messi in relazione con altri graffiti del castello, restituiscono un primo interessantissimo quadro. 

A titolo esemplificativo, i disegni sugli strati di scialbo più recenti, quasi tutti in nero, tracciati a pennello o a pastello, testimoniano che tra l’Ottocento ed i primi del Novecento questo spazio, come altri del castello (per esempio le sale 25 e 33) erano con ogni probabilità destinati ad ospitare i prigionieri più altolocati: ufficiali e civili che rappresentano se stessi ed il mondo lasciato fuori dalle mura della prigione – donne ed uomini elegantemente vestiti – ma pure gli orrori della guerra con i suoi sentimenti di odio, vendetta, paura. Dall’esame di questi graffiti desumiamo che sono stati eseguiti da persone di censo e cultura sufficienti da potersi permettere di ottenere all’interno del carcere gli strumenti necessari per dipingere (pennelli, spatole, pennini) e da avere probabilmente a loro disposizione una stufa a legna da cui ricavare i pigmenti (nerofumo, carbone). Si riscontrano mani diverse e ricorrenti.

I graffiti ci permetto di desumere censo e cultura di chi li ha eseguiti e sono testimonianze della storia del castello e della vita che si è svolta in esso. 

Ma negli strati di scialbo, stesi gli uni sopra gli altri, i graffiti sono moltissimi ed i temi i più vari, anche a testimonianza di tempi in cui gli spazi erano usati diversamente. Sull’intonaco più antico riscontrato sulla parete ovest della sala 26 emerge il dipinto di una nave da guerra da lago, con ogni probabilità parte di una pittura che occupava la metà superiore dell’intero muro. L’analisi delle sue caratteristiche di forma e di armamento (ringrazio il prof. Marco Bonino per la preziosa collaborazione) ricordano molto da vicino le navi turrite del XV secolo, non ancora dotate di artiglieria, simili a quelle delle illustrazioni del De rei militari di Roberto Valturio del 1473. A Locarno il dipinto è eseguito in modo ingenuo ma con intenzione di realismo da qualcuno che evidentemente aveva specifiche cognizioni in merito alla marina militare lacuale del tempo. Si tratta forse di una battaglia navale avvenuta nei pressi del castello? Di uno degli assedi subiti? Per il momento sono solo congetture, per quanto stimolanti. Tanto più che questo dipinto potrebbe essere messo in relazione con un altro che si trova nella sala 10, il quale presenta tratti caratteristici sia figurali sia tecnici molto vicini e che pure raffigurerebbe il complesso castellano, forse prima delle demolizioni del 1531. Entrambi potrebbero quindi rivelarsi di grande rilievo per la ricostruzione delle vicende storiche e costruttive del castello.

L’importanza di questo grande patrimonio di graffiti è stata compresa già negli anni Venti del Novecento da Edoardo Berta e dalla Commissione Federale, che ne hanno conservato la gran parte nel restauro compiuto tra il 1922 ed il 1926. Fatto questo certamente non comune per l’epoca: averli preservati quali testimonianze della storia del castello e della vita che si è svolta in esso ne dimostra la sensibilità e la lungimiranza. Ci si augura che anche nel prossimo intervento ora previsto venga seguita questa linea, rafforzandola attraverso la decifrazione e valorizzazione dei graffiti stessi.

Sala 10, dipinto che raffigurerebbe una Via Crucis e parte del complesso castellano di Locarno prima delle demolizioni del 1531
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