Greta, Trump e Boris Johnson hanno polarizzato l’attenzione – i fatti importanti della settimana passata

IL COMMENTO

È stata una settimana di straordinaria intensità e a fatica riusciamo a riordinare gli eventi che si sono susseguiti a ritmo incalzante.

L’Assemblea generale dell’ONU a New York (23-26 settembre) ha tentato di rilanciare il multilateralismo e l’ordine internazionale basato su regole certe e condivise; ma il piatto forte – come evidenziano Marina D’Enza su queste pagine e Salvo Buttita sul nostro sito – è stato soprattutto l’emergenza ambientale e la necessità di dare una svolta alle politiche nella lotta ai cambiamenti climatici. Una sfida che vede l’Unione europea in prima fila per l’attuazione dell’accordo di Parigi e per diventare – non solo a parole – il primo continente al mondo a zero emissioni di carbonio. Al riguardo sono da ricordate le parole di Papa Francesco, del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres (“al primo posto le persone”), l’attacco con toni forti di Trump a Iran e Cina, le dichiarazioni mortificanti del presidente brasiliano Jair Bolsonaro (“l’Amazzonia non è un patrimonio dell’umanità”) che ha confermato in modo deflagrante la sua scarsa propensione a sostenere la lotta al cambiamento climatico.

Ma di questa Assemblea generale svoltasi tra luci ed ombre ricorderemo soprattutto le lacrime di rabbia – e le parole di fuoco, “mi avete rubato i sogni” – di Greta Thunberg contro i leader presenti al vertice ONU sul clima, così come lo sguardo fulminante lanciato a Donald Trump mentre entra nel Palazzo di Vetro: una smorfia di disappunto e di sfida!

Trump e l’impeachment

In America – in una sorta di commedia tragicomica infarcita di bugie, ipocrisie e rivelazioni di talpe come in un film di spionaggio – le pressioni dei deputati democratici hanno impresso una svolta  all’affare Ucrainagate e convinto la presidente della Camera Nancy Pelosi a chiedere l’impeachment di Donald Trump, che sarà giudicato per “tradimento, corruzione o altri gravi crimini e misfatti”, come prescrive la costituzione.

Giungere a una condanna di Trump e alla sua rimozione non sarà semplice, occorrendo una maggioranza di due terzi dei senatori che dovrebbero votare contro il Presidente, inclusi i senatori repubblicani. Una defezione di tale portata nelle file dei repubblicani non è per ora ipotizzabile e Trump farà di tutto per difendersi dall’impeachment, e magari trarne vantaggio. In tal senso ha messo immediatamente in moto i suoi sostenitori dell’ultra destra, in particolare la lobby delle armi chiamata a sostenere lo sforzo finanziario per la campagna a difesa di Trump contro l’impeachment. Un sostegno che avrà un prezzo: opposizione ad ogni tentativo di mettere sotto controllo, per legge, la diffusione delle armi. D’altronde, la posizione dell’industria delle armi è tristemente nota: “non ci sono tante stragi perché ci sono troppe armi, ma perché ce ne sono troppo poche; per difendersi bisogna darle anche ai buoni, bisogna darle a tutti”.

Intanto Ucrainagate sta scuotendo, come un tornado, gli apparati governativi e le istituzioni americane: una delle prime teste a cadere dallo scranno è quella di Kurt Volker, inviato speciale Usa in Ucraina, dimessosi dopo la diffusione della telefonata in cui Trump chiese al presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj di indagare su Joe Biden, che la Casa Bianca ha tentato di insabbiare. Ma non finisce qui. L’impeachment contro Trump porterà al centro del dibattito politico anche “il lato oscuro” di Joe Biden, l’ex Vice di Barak Obama e il ruolo da lui avuto nel siluramento del procuratore ucraino che indagava sull’azienda per cui lavorava suo figlio, Hunter Biden. Una vicenda che ha la sua genesi nel 2014, quando Hunter entra nel consiglio di amministrazione della compagnia ucraina del gas Burisma Holdings, con uno stipendio di 50 mila dollari al mese.

Un fatto non di poco conto, dunque, che chiama in causa Biden padre, incaricato da Obama di occuparsi del trapasso politico in Ucraina, sconvolta dagli scandali e con il presidente Yanukovich costretto dalla “rivoluzione arancione” a fuggire in Crimea per fermare sul nascere la guerra civile. Il disorientamento dell’elettorato democratico e le speculazioni politiche che di certo non mancheranno, potrebbero pesare come un macigno nella corsa verso le primarie che Biden tenta di vincere per sfidare Trump nel 2020.

Johnson e la retorica aggressiva

È stato enorme lo scalpore destato dalla sentenza della Corte Suprema, che ha sancito “illegale” e mai avvenuta la sospensione del Parlamento decisa dal governo del premier Boris Johnson fino al 14 ottobre, che pertanto ha ripreso a funzionare. Ma Johnson non ha chinato il capo di fronte alla Corte Suprema, anzi si è dichiarato “profondamente in disaccordo” con la decisione e ha alzato il livello di aggressività nelle sue esternazioni.

Non senza conseguenze: il paese che ha dato i natali alla democrazia sta perdendo il senso della misura e il tradizionale self control. La stampa britannica, infatti, ha denunciato in queste ultimi giorni una serie di aggressioni a vari uffici delle circoscrizioni elettorali e minacce di morte rivolte ai parlamentari, soprattutto donne, che si battono contro la Brexit. Persino la sorella di Johnson – giornalista affermata – ha biasimato la retorica governatica, accusando espressamente suo fratello di usare parole quali “capitolazione”, come se tutte le persone che si oppongono alla Brexit dovessero essere impiccate o asfaltate.

Sicché mentre il presidente dell’Europarlamento David Sassoli commenta che “la decisione della Corte Suprema del Regno Unito è importante” e ribadisce che “qualsiasi accordo sulla Brexit deve essere approvato sia dal Regno Unito che dal Parlamento europeo, quindi è essenziale un adeguato controllo democratico da parte di entrambi”, al di là della Manica cresce l’incertezza e la paura che si ripetano fatti violenti come quello di Jo Cox, la deputata britannica laburista uccisa nel 2016 perché contraria all’uscita dall’Ue.

Concetto Vecchio, accoglienza incredibile

Un pensiero particolare lo dedichiamo allo straordinario successo della presentazione del libro di Concetto Vecchio (Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi): una partecipazione incredibile di pubblico a Zurigo e straordinaria a Lenzburg dove oltre 400 persone hanno accolto Concetto nella città in cui è vissuto da adolescente. Affidiamo ad una foto la testimonianza dell’affetto riservato all’autore, lo esprime meglio delle parole.

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