Ho scelto la quarantena, ma in Italia

In questi giorni di grande confusione dovuti all’emergenza COVID-19, abbiamo imparato a conoscere le diverse modalità di prevenzione adottate dai vari Paesi del mondo. Abbiamo visto tutti le grandi misure restrittive imposte dalla Cina. Le stesse misure che, anche se con alcune differenze e con qualche settimana di ritardo, sono state riproposte nelle città italiane. Ci siamo confrontati con il modello della Corea del Sud, dove hanno utilizzato diverse modalità di contact tracing. Inoltre abbiamo constatato, purtroppo, come in alcuni Paesi del mondo la situazione sia stata presa eccessivamente “sottogamba”. E ora se ne stanno pagando le tragiche conseguenze.

Anche all’interno dell’Unione Europea le differenze non mancano. Alcuni Paesi hanno optato per una linea molto più morbida rispetto alle misure introdotte in Italia, Spagna o Francia.
 È il caso, ad esempio, dei Paesi Bassi.
Nella terra dei tulipani sono bandite tutte le attività che prevedono assembramenti superiori alle 100 persone, le scuole sono chiuse, fatta eccezione per i figli degli operatori sanitari, cosi come bar, ristoranti e servizi non essenziali. Ma, a differenza dell’Italia, non vi è l’obbligo di restare in casa. È “solo” fortemente consigliato.
 E questa situazione genera confusione negli italiani che si trovano lì.

Marco, ad esempio, è un ragazzo italiano di 25 anni, originario di Ostuni che si trovava ad Eindhoven per un soggiorno legato al programma Erasmus. Oggi, dopo due mesi dal suo arrivo, ha deciso di ritornare in Italia e passare la quarantena a casa.
“Un aspetto ‘triste’ di questa vicenda – racconta Marco – è la confusione generata dalle diverse linee guida adottate dai Paesi. Avevo come l’impressione di essere l’unico a prendere seriamente la situazione mentre tutti intorno a me continuavano a vivere normalmente”.

Marco, come hai vissuto i primi giorni dell’emergenza?


Inizialmente non avevo ben capito la gravità della situazione. Appena arrivato, quindi nella prima metà di febbraio, il virus era già argomento di preoccupazione e si cominciavano ad applicare alcune restrizioni da parte di certi paesi nei confronti della Cina o dei paesi asiatici in generale. Cosa che invece i Paesi Bassi non hanno fatto. Questo mi ha stupito molto e ha stupito anche alcuni amici asiatici che ho conosciuto a Eindhoven. Loro erano riusciti a partire senza troppi problemi e tutti abbiamo pensato che forse la situazione non fosse poi così grave. Invece, come purtroppo abbiamo constatato, non è andata così.

Pensi che non siano state prese le dovute precauzioni?


Diciamo che è stata lasciata molta libertà alle persone. Difatti ho notato che i cittadini olandesi si dividono ancora oggi tra coloro che sono molto preoccupati e coloro che invece se ne infischiano totalmente. Quindi c’è ancora tanta confusione. E, a essere onesto, oggi mi chiedo se non abbia fatto male a restare segregato in casa per questi due mesi. Probabilmente, visto che proprio ora sono in viaggio per l’Italia, ho fatto bene a limitare i contatti. Così ho evitato di mettere in pericolo me stesso e le persone che avevo intorno a me. Ma se fossi rimasto fino a Luglio, forse me ne sarei infischiato anch’io.


Qual è stato il momento più difficile?


Onestamente non c’è stato un momento in particolare. Diciamo che ci sono stati vari momenti in cui lo sconforto riusciva a prendere il sopravvento. Passare la quarantena da solo ti trascina in un loop senza fine e ogni giorno diventa uguale a quello precedente e questo dopo un po’ comincia a essere logorante. Però insomma, è una cosa che purtroppo stiamo passando in molti in questo periodo. L’unica soluzione è cercare di essere positivi e guardare avanti. Un’altra cosa che mi faceva stare un po’ in ansia era la poca sicurezza che avevo nei confronti delle istituzioni. Non mi sentivo molto sicuro ed avevo come l’impressione che anche da un punto di vista medico ci fosse un po’ di impreparazione nei confronti della pandemia.

È per questo che hai deciso di ritornare in Italia?

Anche per questo. E poi perché c’è ancora troppa incertezza intorno al nostro futuro. Se la normalità tardasse a ritornare, potrebbe diventare ancora più complicato mettersi in viaggio e tornare a casa. Così ho deciso di “tagliare la testa al toro e partire”. Ora mi aspetta un viaggio di un giorno intero! Arriverò a casa dopo che avrò passato una notte in aeroporto e naturalmente, una volta arrivato, seguirò tutte le raccomandazioni delle autorità italiane e non vedrò nessuno. Neanche i miei genitori. Li rivedrò dopo aver passato alcuni giorni in isolamento.

Ci sono consigli che ti senti di dare ai tanti ragazzi che si trovano all’estero?


L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di valutare attentamente la propria situazione. Ognuno vive in una condizione diversa e ogni situazione lascia spazio a diverse valutazioni. Nel senso che ci sono alcuni paesi che ti permettono di vivere una vita ‘seminormale’, senza restrizioni eccessive e con la possibilità di poter uscire. In questo caso, se non si ha intenzione di tornare a casa, si può vivere questa emergenza più tranquillamente e senza troppe privazioni, evitando comunque luoghi troppo affollati e non prendendo mai sottogamba la situazione. Altrimenti, se come me si sta pensando di ritornare, credo sia meglio evitare quanto più possibile ogni contatto superfluo con il mondo esterno, così da evitare di essere veicolo di contagio durante il viaggio e una volta tornati. Per il resto, come dicevo, ci vuole pazienza e positività. Quando tutto sarà finito, ci rideremo su pensando a questa situazione cosi particolare.

 

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