I lamenti di Schmidheiny e la tragedia delle vittime dell’amianto

La decisione del tribunale di Vercelli di rinviare a giudizio per il processo “Eternit bis” Stephan Schmidheiny, discendente di una delle dinastie più importanti e ricche nel panorama industriale svizzero e proprietario degli stabilimenti Eternit in Italia, ha riacceso la battaglia insorta con l’azione legale collettiva promossa nel 2009 da un gran numero di persone (circa 6’000) contro l’imprenditore svizzero. Persone che lottavano per rendere giustizia ai circa 3’000 deceduti esposti all’amianto per avere lavorato o perché vivevano nelle vicinanze degli stabilimenti Eternit in Italia, in particolare a Casal Monferrato (Alessandria) – una delle amiantifere a cielo aperto più grandi d’Europa – nonché a Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).

La mega inchiesta sulla Eternit portata avanti dal pubblico ministero Raffaele Guariniello aveva rinviato a giudizio Stephan Schmidheiny e il barone belga Jean Louis Marie Ghislain. Al processo conclusosi al Tribunale di Torino il 13 febbraio 2012, i giudici emisero una sentenza storica, condannando in primo grado i due imputati a 16 anni di reclusione per “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”. La multinazionale svizzera di Schmidheiny, inoltre, fu condannata al risarcimento di circa 3000 parti civili e al pagamento delle spese giudiziarie. Sentenza “storica” perché per la prima volta al mondo si condannavano i vertici aziendali per la morte di tante persone esposte all’amianto.

La storia di questo dramma immane ha vissuto poi, nei successivi gradi processuali, vicende alterne: dall’inasprimento della pena sancita nel processo d’appello alla Corte di Torino (2013), al verdetto della Corte Suprema di Cassazione che annullava senza rinvio la sentenza di appello per sopravvenuta prescrizione del reato comunque commesso. Nel frattempo, si erano aperti altri fronti giudiziari che hanno poi portato al processo “Eternit bis”, nonché azioni legali promosse da Schmidheiny per bloccare la pubblicazione in inglese di un libro sul disastro ambientale, libro che avrebbe avuto forti ripercussioni sulla sua immagine (Schmidheiny ha vasti interessi commerciali in tutto il mondo, in particolare in America latina).

Il nuovo rinvio a giudizio di Stephan Schmidheiny per la morte di 392 persone sancito dal tribunale di Vercelli (il processo si aprirà in Corte d’Assise a Novara il 27 novembre) ha riportato in superficie alcune sue dichiarazioni pubblicate in un’intervista rilasciata alla Neue Zürcher Zeitung il 28 dicembre scorso, in cui l’imprenditore svizzero si scaglia contro lo Stato italiano con disprezzo e con frasi come “Odio l’Italia”, sentendosi “perseguitato dai magistrati di un Paese “fallito”. E in un altro passaggio dell’intervista afferma “quando penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito”. Compassione di cui non vi è traccia per le persone contaminate nelle sue cave e decedute per l’esposizione all’amianto.

La battaglia contro l’amianto che dagli anni 90 del secolo scorso si sta combattendo nelle nazioni più sensibili con iniziative legislative appropriate e con una campagna di informazione mirata non è conclusa: vi sono milioni di tonnellate d’amianto da smaltire; si calcola che soltanto sul territorio nazionale italiano vi siano oltre 30 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto. In Svizzera ogni hanno tra le 2400 malattie professionali riconosciute circa 100 sono tumori dovuti all’amianto. Una battaglia sacrosanta anche per l’estensione geografica dell’amianto: questo materiale killer è ancora utilizzato in tre quarti del mondo.

Nel 2008 in una mia interpellanza parlamentare urgente (Atto Camera 2-00222, seduta n. 084 del 12/11/08) mi rivolsi al Governo italiano, per sottolineare – oltre a quanto si prospettava in Italia a seguito del rinvio a giudizio dei vertici dell’azienda Eternit Italia – l’altra faccia della tragedia ovvero quella dell’inchiesta riguardante i parenti dei lavoratori morti per essere stati esposti all’amianto nella fabbrica di Niederurnen, sede della Eternit svizzera di Schmidheiny. E per tutelare i diritti dei cittadini italiani ex-emigrati e loro parenti, che per vari anni hanno lavorato nel predetto stabilimento, vista l’impossibilità di un procedimento penale in Svizzera contro la Eternit SpA di Niederurnen (GL), avendo il Tribunale Federale elvetico (2008) dichiarate prescritte le eventuali responsabilità dell’azienda (la produzione era cessata nel 1994). La mia interpellanza puntava soprattutto – tramite l’azione del Governo italiano – a facilitare l’accesso alle prestazioni dovute dalla SUVA svizzera ai cittadini italiani che avevano svolto mansioni lavorative in contatto con l’amianto, «organizzando a tal fine una reale campagna d’informazione con il coinvolgimento dei comuni, da attuarsi attraverso il raccordo con gli enti previdenziali dei Paesi predetti, l’assistenza dei patronati e l’accesso ad uno sportello centrale dell’INAIL all’uopo predisposto».

Schmidheiny si sente “perseguitato dall’Italia”, ma dovrebbe avere ben chiaro che l’Italia sta portando avanti una battaglia epocale contro il male del secolo, l’amianto, un minerale a struttura fibrosa indistruttibile, perpetuo nel tempo e proprio queste sue caratteristiche costituiscono un alto rischio per la salute dell’uomo. Dal 2001 al 2007 in Italia si sono registrati circa mille casi di morti l’anno per mesoteliomi pleurici, un numero che è continuato a crescere con un picco in questi ultimi cinque anni. Eternit Italia ne ha sicuramente una parte di responsabilità che travalica la lentezza della giustizia italiana.

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