I treni della felicità – caso di sostegno tra nord e sud Italia

di Daniele Giorgi

Settembre 2019. Esce “Il treno dei bambini” (Einaudi) di Viola Ardone, insegnante di latino e italiano. Il libro racconta la storia di 12mila piccoli napoletani che furono ospitati nel dopoguerra da famiglie del nord Italia, per strapparli alla fame. È una storia che l’autrice, napoletana di nascita, non conosceva. Fu un pensionato, Amerigo, che era stato uno di quei bambini saliti su quei treni, a raccontargliela, ricordando del distacco dalla madre, della nostalgia successiva di rivedere la seconda famiglia emiliana, del primo letto caldo e della paura che i comunisti gli potessero ‘tagliare le mani e metterle a cuocere nel forno’ – come diceva una vecchia signora monarchica (la Pachioca) ai bambini in procinto di partire per il Nord – e poi ancora dei salami e delle salsicce ben allineate appesi al soffitto nella camera da letto. Per Amerigo la grande avventura del viaggio al Nord fu ‘il suo dono di Natale’; era il 1946. Il viaggio serviva per strapparlo dalla fame, miseria e malattie del meridione italiano.

Nel 1980, dunque circa quarant’anni prima del libro di Viola Ardone, fu dato alla stampa “Cari Bambini vi aspettiamo con gioia. — Il movimento di solidarietà per la salvezza dell’infanzia negli anni del dopoguerra” (Teti editore). Venne scritto da Angiola Minella assieme a Nadia Spano e Ferdinando Terranova. Minella fu partigiana, poi eletta in Liguria alle amministrative del 1946, poi eletta alla Costituente e dal 1948 al 1972 alla Camera e al Senato. Spano, rientrata nel 1944 in Italia dalla Tunisia, dove dal 1938 aveva svolto attività antifascista, fu eletta alla Costituente e poi parlamentare per la Sardegna dal 1948 al 1958. Terranova, docente universitario, è autore di numerose pubblicazioni sulla politica sanitaria ed assistenziale in Italia.

Gli autori del libro scritto nel 1980, attraverso un lavoro paziente e meticoloso, hanno ricostruito un quadro vivo e toccante di quel movimento e viaggio verso l’Emilia, e la ricchezza e profondità dei legami umani che generò. Le testimonianze comprendono i ricordi di chi quella storia l’aveva vissuta in prima persona, dalle famiglie ospitanti ai bambini, ai tanti collaboratori che permisero i viaggi in treno verso una nuova vita.

In Emilia, vi giunsero un po’ da tutta Italia. Da Milano e Torino, ne partirono in tutto 4mila e cinquecento, mentre da Roma giunsero 3.500 bambini, ospiti della federazione comunista modenese che, come spiegava l’On. Pietro Ingrao in una lettera datata 13 gennaio 1946 e pubblicata su “l’Unità”, si sarebbe presa cura dei bimbi per tutto l’inverno affinché dimenticassero la fame e il freddo. Si legge, sempre nella ricostruzione di Minella, che per i bambini partiti con i piedi coperti da pezzi di cartone “le scarpe ed il vestiario sono già sul treno, un pacco per ogni bambino con il cartellino intestato, saranno distribuiti durante il viaggio”. Il 16 febbraio dello stesso anno, partì il primo dei dodici treni speciali destinati ai bambini del Cassinese e della Ciociaria.

Poi nel dicembre del 1946 iniziarono gli arrivi da Napoli. In tutto furono 12mila i bambini mandati al Nord: “avevano negli occhi la fame ma non la disperazione, la povertà ma non l’avvilimento”.

Non tutti, a Napoli, erano favorevoli a questa iniziativa, a questa custodia dei bambini in Emilia. Tra questi, la “Pachioca”, una donna combattiva, un capopopolo, monarchica, che aveva partecipato all’assalto alla Federazione Comunista l’11 giugno 1946. Solo dopo che fu invitata in Emilia (lei che diceva che i bambini napoletani partivano per essere bruciati nei forni), ricevuta dai dirigenti politici che la trattarono alla pari e aver visto come l’ Emilia Rossa aveva accolto e trattato i bambini di Napoli, la “Pachioca” da oppositrice divenne promotrice dell’iniziativa.

Sono pagine che trasudano dolore e angoscia quelle che raccontano della paura e del terrore visibile negli occhi di molti bambini in partenza. A nessuno di loro era chiaro dove stessero andando, per quanto tempo e perché. E il loro disorientamento e angoscia non erano che acuiti dalle parole di numerisi ecclesiastici, che al sud ripetevano la ‘loro verità’: questi bambini non stavano per partire per il nord, per l’Emilia, ma per essere portati in Russia, ‘tagliati a pezzi e poi messi in scatole’.

Arrivati in Emilia, però quello che scoprirono i bambini fu non solo il piacere di una coperta calda, una casa accogliente e con giochi, un letto caldo, una scuola, il sapore di uova fresche e latte: i bambini poterono anche apprezzare il senso di responsabilità degli adulti nei confronti dei ragazzi – mentre nella Napoli post-bellica, distrutta, con scarsa acqua potabile e nettezza urbana quasi inesistente, “ognuno doveva occuparsi di se stesso”.

I bambini arrivati in Emilia, vi sarebbero dovuti rimanere tre mesi. Ve ne rimasero invece sette – fino alla fine della primavera del 1948.

Oggi, oltre settant’anni dopo la partenza di quei convogli verso l’Emilia, e a dispetto delle numerose strumentalizzanti politiche di cui sono stati oggetto, “i treni della felicità” rimangono una pagina da ricordare nella storia italiana per il sostegno spontaneo e organizzato che unì il Nord e il Sud del nostro Paese.

 

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