Identità: il liberalismo le promuove tutte. Il pensiero di Francis Fukuyama, il politologo che negli anni 90 parlò della fine della Storia

In politica, per identità si intendono due cose. Da una parte la scomparsa e l’annacquamento dell’identità nazionale frutto, in parte, della globalizzazione. Questo genere di identità attrae l’attenzione del mondo conservatore e ultraconservatore, che denuncia la scomparsa dell’essere “italiano”, “francese”, “americano”, etc. a favore di un ampio multiculturalismo nel quale, per definizione, il concetto stesso di identità nazionale perde di significato.

Dall’altra, un altro concetto di identità, ovvero le nuove identità a cui alcune comunità sociali dicono di appartenere. Questo secondo concetto di identità attrae l’attenzione invece del mondo progressista e ultra-liberal, che propone l’estensione del concetto a gruppi un tempo non considerati, trascendendo le oggettive differenze biologiche. Secondo costoro non si nasce donna o uomo, ma donna o uomini si diventa.

Il dibatto sulle due identità riflette la divisione manichea sull’intendere l’identità stessa.

Sia il mondo ultraconservatore che quello ultra-progressista ritengono le ragioni identitarie espresse dall’altro mondo come illegittimo e pericoloso. D’altra parte, il liberalismo – la terza via tra universi politici che non comunicano tra loro e si annullano l’uno con l’altro al prezzo di una nociva polarizzazione del discorso pubblico – promuove entrambe le identità, senza scivolare nell’estremismo. Promuove altresì la possibilità di coltivare sia quella nazionale, che quella di genere.

Si dice che la prima sia una cosa di destra e il liberalismo è una cosa di sinistra. Nulla di più sbagliato...

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