Ignoranza linguistica. Se anche le librerie internazionali scompaiono

A quanto pare, Boris Johnson, neo-eletto leader del Partito Conservatore inglese e primo ministro britannico, conosce e parla molto bene il francese. Si dice che l’abbia imparato quando lavorava come corrispondente di Bruxelles del Telegraph – dedicando, tra l’altro, parecchie delle sue energie alla creazione di storie anti-UE per un pubblico ricettivo. Le eccelse conoscenze di una lingua europea di Johnson hanno un che di ironico: uno dei maggiori anti-europei non è poi così un Little Englander! Non c’è nulla di ironico, invece nel fatto che negli ultimi anni, il numero di studenti britannici che hanno scelto di studiare lingue straniere a livello universitario è stato in costante diminuzione.

Questo trend non è solo ‘British’. In Italia, ad esempio, una persona su tre (34%) continua a non parlare alcuna lingua straniera e solo due su dieci (20,1%) dichiara di saper parlare due lingue straniere (dati Eurostat). Risultato: in Europa continuiamo a faticare a capirci.

Le lingue sono, sì, entrate nel menu scolastico in più scuole, a partire da quelle elementari, in molti Paesi – anche in Gran Bretagna e in Italia. Però, dati alla mano, si vede un calo, addirittura un abbandono dello studio, dopo un paio di anni di crescita. Da un lato, la globalizzazione economica spinge verso un arido apprendimento linguistico funzionale per il commercio e l’esportazione; dall’altro ci accorgiamo presto che la fatica di imparare un’altra lingua è facilmente sopperita da tutta la tecnologia di cui ci circondiamo e basta un click per avere traduzioni veloci e senza impegno. E’ notizia recente quella che Google ha potenziato il suo traduttore istantaneo integrato nella fotocamera, consentendo di leggere nella propria lingua madre insegne, cartelli stradali e menu quando ci si trova all’estero. Con la nuova App “Google Traduttore”, poi, non abbiamo più bisogno di conoscere il nome dell’idioma al quale ci si trova davanti.

E nel frattanto, chiudono, in Italia come altrove nei Paesi UE, molte delle piccole librerie internazionali indipendenti! Qualche esempio? Panton’s, la storica “English Bookshop” a Milano non c’è più da diversi anni ormai. A Londra, ha chiuso la centralissima libreria con testi ‘non tradotti’, Grant and Cutler, acquisita dalla ben più nota Foyles, e benché sia stata aperta la European Bookshop a South Kensington, il suo stock è molto ridotto (tra l’altro senza riviste e giornali). Tutta colpa di Amazon, gli e-book, le app e i negozi più grandi, con più opzioni e prezzi migliori? Non si tratta di essere ‘quelli’ attaccati all’immagine delle piccole librerie polverose, dove vagare tra titoli sconosciuti, parole note e non, fino a quando si vede spuntare, tra molti volumi, proprio quello che sembrava lì apposta per noi.

La questione è meno romantica.

Chiudendo i piccoli negozi di libri stranieri, scomparendo quel piacevole curiosare tra i volumi, quell’aprire un libro, leggerne il titolo, l’indice e poi basta, non si minaccia – almeno un po’ – la curiosità di entrare in contatto diretto con “l’altra lingua” e di farlo da casa propria, senza dover andare a vivere all’estero?

Oggi più che mai, nel Regno Unito come in Italia, e nell’UE tutta, a fronte della forza del populismo sovranista, lo studio delle lingue europee non è mai stato così importante. L’apprendimento delle lingue è vitale per la prosperità futura di ogni nazione, perché la lingua è anche canale di esportazione culturale. Di una visione del mondo. E di diplomazia. Parlare un’altra lingua è la base per comprendere la cultura di chi la parla. E’ dunque la base del dialogo.

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