Un valore inestimabile, ma non diamola per scontata
Di Giovanna Guzzetti
Deve essere avvolto da un certo fascino, inossidabile al tempo, il termine Repubblica. Vi hanno dedicato riflessioni, elaborazioni e fiumi di parole veri e propri pilastri della cultura classica, come Platone e Cicerone. Quella Repubblica che, giovedì 2 giugno, gli Italiani (in tutto il mondo) si accingono a festeggiare, in presenza, a Roma con la sfilata ai Fori Imperiali. Un luogo ricco di storia ed arte da togliere il fiato che ci riporta, immediatamente e idealmente, a Cicerone. Per il quale la Repubblica, alla quale dedicò un’opera imponente (De Re Publica) di filosofia della politica a metà del primo secolo avanti Cristo, era innanzitutto la Res Publica, la cosa pubblica, che Cicerone, gioia e dolore degli studenti di latino, definiva in questo modo: «La res publica è cosa del popolo; e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse».
Parole attualissime, oggi come il 2 giugno del 1946 quando, con il referendum istituzionale, gli Italiani e le Italiane (chiamate ad esercitare il diritto di voto per la prima volta) scelsero la forma repubblicana per il loro Paese, uscito sconfitto dalla guerra, diviso nel sentire e in ginocchio sul piano economico. Per ricostruire ci volevano l’apporto e l’impegno di tutti: quale migliore tutela del proprio interesse, per tornare a Cicerone? E, inscindibile dalla citata condivisione del diritto, la ricostruzione del Paese invocava quella condivisione del dovere richiamato – che si trattasse di lavoro, di contributo alla spesa pubblica mediante il pagamento delle tasse, ciascuno in relazione alla propria capacità, di difesa del Paese – più volte dalla nostra Carta Costituzionale (anche qui il richiamo è al rem publicam constituere utilizzato da Cicerone), frutto della scelta repubblicana ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
Optare per la repubblica ha voluto dire non solo congedarsi dalla monarchia, comunque artefice della costruzione dello Stato nazionale, ma soprattutto rifiutare la prospettiva dell’autocrazia perché il Paese, con a capo un Presidente della Repubblica di garanzia, potesse godere della bellezza della democrazia rappresentativa, con un apparato legislativo, il Parlamento, liberamente eletto dal popolo. Quel popolo sì chiamato alle urne in virtù di un diritto di voto universale ma che, allora come oggi, dovrebbe associare, a quel diritto, il dovere di promuovere e tutelare il bene della Cosa Pubblica in ogni modo, con ogni mezzo, con la assoluta coscienza che nella Res Publica non esiste un beneficio e/o un vantaggio che non sia della collettività: l’uno non può prevalere sul tutto e viceversa.
La storia della tutto sommato giovane repubblica italiana, divenuta dalla sua fondazione uno dei principali protagonisti dell’Occidente industrializzato grazie alla scelta atlantica, non è però stata esente da attacchi e minacce. Non è un caso che all’inizio degli anni Novanta un principe del giornalismo del calibro di Sergio Zavoli diede vita ad una serie di trasmissioni, intitolata La notte della Repubblica, per analizzare gli episodi più bui del ventennio (un altro…) 1969 – 1989. Gli anni che vanno dalla strage di Piazza Fontana alla caduta del muro di Berlino, passando, a titolo solo esemplificativo, per la strage dell’Italicus, il caso Lockeed o l’attentato alla Stazione di Bologna. Quella strategia della tensione che si era già prima manifestata con il caso Sifar ed il piano Solo, bollati come prove di colpo di Stato, all’epoca di Segni al Quirinale.
Abbiamo avuto una Prima Repubblica, fiorita da quella Assemblea costituente che ha raccolto i padri della nostra carta fondamentale che hanno fatto grande la politica di quel tempo, ed una Seconda Repubblica nata dalla crisi dei partiti, seguita all’arresto di Mario Chiesa del 1992. Negli anni si è cercato di intervenire sulla Costituzione, secondo il procedimento di revisione costituzionale dalla stessa previsto, con alterne vicende ed alterne fortune, ma le fondamenta della nostra Repubblica non sono state (seriamente) intaccate. Nemmeno da un virus pandemico come il Covid perché il nostro capo dello Stato, Sergio Mattarella, richiamato per un secondo mandato, ha rappresentato il ri-Costituente delle nostre Istituzioni, sfiancate da una emergenza di reminiscenza e portata bibliche. Come collante dello Stato e come ispiratore di una politica di solidarietà che ha saputo tradurre in scelte responsabili per il Paese.
Una Repubblica resiliente, la nostra, oggi in prima fila nella difesa di una Repubblica, quella dell’Ucraina, che, uscita dal Moloch sovietico, chiede solo di mantenere l’indipendenza che si è guadagnata. Una lezione per chi, all’ombra dello stellone italico, pensa(va) che, al giorno d’oggi, una forma di stato potesse essere data per scontata o immutabile. E anche per chi evoca la comparsa di figure (pseudo) salvifiche come l’uomo forte o il cavaliere nero. La Z di Zorro, ce lo insegnano i fatti di questi giorni, è auspicabile rimanga solo un tratto della fantasia.