Il filo invisibile tra Donne e Ambiente

di Giacomo Rubini per NINA APS

Aku aku lumu wawa, mushuk allpaybi tarpuna anchi” (Andiamo andiamo piccoli di manioca, vi semineremo in nuova terra). Nell’Amazzonia Ecuadoriana, dove vivo, le indigene Napo Runa cantano alla semente di lumu (manioca) prima di seminarla, così come farebbero con uno dei propri bambini.

Il concetto di maternità si estende quindi non solo ai propri figli ma all’intero mondo naturale.

Le donne indigene sono chagramama (madri del proprio orto-sistema agroforestale), sachamama (madri della selva), dei fiumi, delle montagne e così via.

Lo immaginereste un agricoltore del nord-est italiano che abbia per i propri campi un sentimento di paternità e che prima di accendere il trattore canti ai semi di mais? Eppure anche in Italia i contadini di poco più di un secolo fa avevano sicuramente un rapporto molto più diretto con il mondo naturale.

Natura che a sua volta è madre di noi stessi e di cui noi facciamo parte anche se in occidente ce ne siamo quasi dimenticati.

Secondo un sondaggio ISTAT del 2014 risulta che le donne si impegnano nei comportamenti attenti all’ambiente più degli uomini.

Può essere questa maggiore sensiblità dovuta proprio a questo filo invisibile che lega il concetto di maternità e vita a quello di donna e ambiente?

Se dunque si può essere d’accordo sul fatto che la speranza per l’ambiente e per le nuove generazioni è tutta incentrata sulle donne, la realtà dei fatti lascia ben poca speranza. 

Ecco due esempi, non proprio a caso di due uomini, che dimostrano una completa mancanza di una qualsivoglia forma di coscienza ambientale:

“Basta mangiare un po’ meno. Voi parlate di inquinamento ambientale. Basta fare pupù a giorni alterni. Sarebbe meglio per l’intero mondo”. Questa la risposta a una domanda di un giornalista su come sia possibile garantire la crescita economica, nutrire il mondo e preservare l’ambiente. L’autore di questa affermazione non è Giuseppe, pensionato padovano intervistato al bar del paese dopo il terzo spritz, ma Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, responsabile di qualcosa come 3 milioni e 300mila chilometri quadrati di foresta amazzonica.

“Il concetto di riscaldamento globale è stato creato dalla Cina per rendere meno competitiva l’industria statunitense” perché “in realtà il Pianeta si sta congelando”. Anche questa volta nessun bar del Kentucky, ma Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, paese responsabile del 22% delle emissioni di anidride carbonica da attività umane nel mondo.

Se al loro posto ci fossero state due donne, la situazione sarebbe diversa? Difficile dirlo, certo è che questi due esempi, volutamente esagerati (anche se le citazioni sono vere, ve lo assicuro, e i diretti interessati a queste affermazioni apparentemente ci credono davvero!), rispecchiano una situazione globale che, da una scala governativa fino ad arrivare a quella familiare, presenta la stessa problematica e cioè una disparità che molte volte esclude le donne dalla sfera decisionale, ambiente compreso.

Questo mentre la figura femminile è invece, soprattutto in tanti paesi del sud del mondo, una figura chiave per il mantenimento del fragile equilibrio tra sovranità alimentare e salvaguardia dell’ecosistema, ruolo questo la cui importanza non è quasi mai riconosciuta.

Maria Antonia, 73 anni, forse nonna di Maria dell’articolo precedente, chagramama (agricoltrice indigena) dall’età di tre anni, come ama definirsi, intervistata al riguardo, ci espone la sua visione delle cose: 

“Io di ambiente e cambio climatico non ci capisco niente, perché sono analfabeta. Quello che so è che adesso nessuno rispetta più la selva e le sue regole, i suoi spiriti. Per questo i raccolti non danno più come prima, piove quando non dovrebbe piovere e così via.

La selva è molto arrabbiata e per questo ci sono sempre più venti forti, fulmini e temporali. Le piante si ammalano e così anche le persone, come stiamo vedendo in questo periodo.

La Natura e le piante sono cose vive e questo ce lo stiamo dimenticando, ma i nostri genitori e i nostri nonni ce lo facevano capire fin da piccoli. Ricordo quando da bambina andavo nella chakra con mio nonno e per gioco mi misi a scorticare col machete il tronco di un albero. Mio nonno lo vide, venne verso di me e col suo machete fece come per tagliarmi un braccio, io mi spaventai e gridai, non mi ero accorta che stava usando la parte non affilata. Scoppiò in una fragorosa risata, la sua tipica risata che faceva tremare gli alberi. -È vivo! Non si gioca così con gli alberi. Solo perché non può muoversi e non può gridare pensi che non gli faccia male?-”

E se quelli che non hanno capito niente fossimo noi?

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Credits: María Antonia. Foto di Alessia Giarola
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