Il G20, tra assenze e impegni “vaghi”

Il Vertice G20 si è tenuto a Roma sabato 30 e domenica 31 ottobre

Cosa è Il G20

Il G20 è il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo. I Paesi che ne fanno parte rappresentano più del 80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta.

Si tiene ogni anno dal 1999 (anno della crisi finanziaria asiatica) e dal 2008, su volere del Presidente americano Bush, prevede lo svolgimento di un Vertice finale, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo.

Oltre al Vertice, durante l’anno di Presidenza si svolgono ministeriali, incontri degli Sherpa (incaricati di svolgere i negoziati e facilitare il consenso fra i Leader), riunioni di gruppi di lavoro ed eventi speciali.

Ne fanno parte Argentina, Australia, Brasile, Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Sudafrica, Arabia saudita, Corea del Sud, Turchia, Stati Uniti e l’Unione Europea. La Spagna viene invitata come ospite permanente ogni anno. Inoltre, vengono invitati i leader delle principali organizzazioni internazionali, come le Nazioni unite e il Fondo Monetario Internazionale.

Ma di questo summit più che le presenze, sono pesate le “assenze”. All’EUR mancava il presidente Russo Vladimir Putin e il Presidente cinese Xi Jinping (che si è mostrato solo in video), assente pure il nuovo premier giapponese Fumio Kishida e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador.

Certamente la paura della diffusione del virus ha avuto la sua parte nella decisione di alcuni leader di non partecipare al G20, ma ci si chiede se è il summit ad aver perso attrattiva.

La riflessione sorge naturale alla luce di una serie di circostanze: la prima è che vi è un maggiore antagonismo di alcuni Paesi nei confronti USA.

D’altro canto, quando il G20 è stato immaginato, nel 1999, il mondo era dominato dagli USA senza grandi scossoni, la Cina non era che l’ombra della potenza che è oggi e la Russia non era ancora il regno di Putin.

La seconda motivazione della perdita di appeal del G20 è nel declino dei BRICS.

Per BRICS si intendono il Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, accomunati secondo quanto stabilito dal G20 dall’impegno di costruire un sistema commerciale globale attraverso accordi bilaterali che non siano basati esclusivamente sul petrodollaro.

Ora, come raccontato dalle pagine di questo giornale, molte di queste potenze sono tra di loro antagoniste (basti pensare alla situazione tra Cina e India) o comunque non in ascesa come sembrava anni fa.

Quindi il G20 non sarebbe più un’occasione per questi Paesi per mostrarsi al mondo e farsi conoscere.

Infine, nel mondo post-Covid ci si vede ormai solo se strettamente necessario. Muoversi oggi, al di là delle questioni interne, vuol dire rischiare. Soprattuto perché i vaccini cinesi e il russo Sputnik non sono paragonabili a quelli occidentali.

I temi del G20 di Roma

I principali temi sull’agenda del G20 sono stati la pandemia, il clima e la tassazione delle multinazionali.

Tuttavia, per la prima è indubbio che la cooperazione è molto difficile da ottenersi, anzi c’è soprattuto competizione riguardo ai vaccini e non solo tra le principali potenze.

Per quanto riguarda il clima l’obiettivo del G20 attuale è stato quello di convincere i partecipanti ad accettare che il surriscaldamento globale deve fermarsi e che entro la metà del secolo le emissioni di carbonio dovranno essere azzerate in tutti i Paesi del G20.

In particolare, le potenze si sono impegnate a limitare l’incremento della temperatura globale a 1,5 gradi, così come previsto dagli accordi di Parigi, ma il problema è che non vi è alcun riferimento al 2050 come anno preciso indicato in precedenza come termine entro il quale portare a zero le emissioni di gas serra, ma alla vaga espressione “metà secolo”.

Nonostante l’ottimismo di Draghi, la difficile trattativa testimonia la difficoltà di trovare un compromesso tra l’Occidente e le potenze asiatiche sul taglio delle emissioni e sulla lotta al cambiamento climatico. Tra l’altro l’India ha già detto di non poter accettare dette misure, così come la Cina.

Ne discende che un summit sul clima che prevede multilateralità nell’azione e unanime consenso, nasce già azzoppato…  A questo punto occorre aspettare il vertice Cop26, che si terrà a Glasgow, per capire se e come l’intesa potrà svilupparsi e dove la sua controversa politica sull’Amazzonia sarà nel mirino.
Altro tema importante è il via libera all’accordo sulla minimum tax.

I membri del G20 si impegneranno ad attuare questa nuova imposizione per le multinazionali entro poco più di due anni. La misura concordata prevede per le multinazionali un’aliquota minima del 15% e imporrebbe loro di pagare le tasse nei Paesi in cui operano. L’intesa stabilisce, poi, la riallocazione dei diritti di tassazione delle imprese multinazionali più grandi e profittevoli. Il 25% dei profitti (eccedenti il 10% dei ricavi) viene allocato nelle giurisdizioni di mercato in cui tali imprese superano una soglia di ricavi rilevanti. Ora aldilà dei problemi applicativi, occorre chiedersi quali realtà ne verranno danneggiate. E in tal caso, ad oggi, sono le piccole e medie imprese che non delocalizzano, a doverne presumibilmente sopportare il peso maggiore.

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