Il governo apre al voto ai sedicenni: “Non siamo pronti”, il coro da tutta Italia 

Fa discutere in Italia – e non poco – la proposta lanciata dalle colonne di Repubblica dal già premier Enrico Letta, oggi direttore della prestigiosa Sciences Po di Parigi: l’estensione del diritto di voto ai sedicenni. Sull’onda del successo del movimento Fridays For Future, capace di riattrarre l’interesse dei giovani per le questioni politiche (180 piazze in tutta Italia hanno visto sfilare gli studenti in corteo lo scorso 27 settembre), l’appello suona come un segnale di distensione e di riconoscimento nei confronti delle nuove leve, fin qui convitati di pietra e spettatori inermi di manovre politiche a lungo termine. Dall’ambiente, alle politiche fiscali, passando per la revisione del sistema contributivo e previdenziale, i giovani in Italia soffrono un doppio scotto: quello di essere in minoranza relativa in un paese in cui la fascia più rappresentata della popolazione ha più di 45 anni e al contempo, di avere, per quanto riguarda la fascia under-30, tassi di ricchezza pari a un terzo della generazioni dei rispettivi genitori. Un combinato disposto che non ha certamente aiutato i legislatori a dare la giusta priorità alla cosiddetta “questione generazionale”, preferendo limitare l’orizzonte dei processi di decision making al breve periodo, più appagante in termini di ritorno elettorale. Come se non bastasse, la recente ondata di scioperi per il clima, che annovera come capofila sentimental-simbolico la giovane svedese Greta Thunberg, sembra aver risvegliato un sopito complesso di Telemaco, con una schiera di adulti insospettabili pronti a criticare via social sia la bontà delle proteste della beniamina del movimento, apostrofata come “fantoccio a servizio dei potenti” nel migliore dei casi, sia quella degli studenti, rei secondo una vulgata diffusa, di aver voluto semplicemente “marinare” la scuola.

Si tratta a ben vedere, di paternalismo mal riposto, il cui maldestro tentativo implicito pare quello di voler diffondere il verbo di quella che i francofortesi avrebbero chiamato “personalità autoritaria”. Un complesso caratteriale in cui il rispetto delle regole, per quanto astruse o figlie di rapporti di forza arbitrari e del tutto irrazionali, viene prima di ogni principio di autodeterminazione e ha, per effetto collaterale, proprio la volontà di distruggere nell’altro ogni seme di pensiero autonomo.

Ben venga, dunque, per spezzare il circolo vizioso che vede allontanarsi i giovani dalla politica, così come la politica allontanata dai giovani, una riforma costituzionale che prima ancora di avere impatto sulle nuove generazioni, l’avrà sui politici di professione, costretti, gioco forza a tenere in debito conto l’esistenza di un nuovo gruppo di interesse con diritto di voto.

Dal canto loro, i giovani, intervistati in questa settimana da diversi giornali locali, hanno espresso contrarietà nei confronti del provvedimento. Non si sentono pronti e temono l’influenza di fattori esterni, famigliari in primis, nella scelta del voto. Dubbi legittimi, che cozzano però contro un’altra realtà difficile da digerire: buona parte degli adulti italiani ha tassi di scolarizzazione più bassi di un sedicenne liceale, e tra il 47% complessivo di italiani che non riescono a comprendere un testo scritto, figurando come analfabeti funzionali, l’83% è adulto.

Come dire: se l’ignoranza fa rima con arroganza, la consapevolezza dei propri limiti va di pari passo con la conoscenza. E allora estendere la possibilità di scegliere i futuri rappresentanti delle istituzioni a chi sa di non sapere e fa della sete di conoscenza un nettare quotidiano, potrebbe non essere una cattiva idea.

 

 

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