Il mecenate: colui che guida lo sguardo a non abituarsi

Il punto di vista di Fabiano Alborghetti, Presidente della Casa della Letteratura per la Svizzera italiana

Fabiano Alborghetti, partiamo dalla figura del mecenate. Chi è stato nei secoli e chi è oggi?

Il mecenate, nei secoli, ha rivestito un ruolo importante: far sì che intellettualmente e moralmente i signori crescessero in maniera esponenziale, creassero, in sé e nelle persone attorno (la Corte), una diversa coscienza di quello che era il mondo e per estensione, il territorio, i popoli, il governo (comando politico o estensione economica). L’elevazione data dal confronto con le arti ha creato quello che è il patrimonio culturale che ancora oggi ammiriamo: dipinti, affreschi, sculture, musica, a un livello di quasi eternità.

Poi c’è stata una mutazione, intorno agli anni 40, quando si scopre il “mercato dell’arte” inteso come commercio e rivolto a un pubblico più vasto. Il mecenatismo ha continuato il proprio mandato morale sostenendo artisti (pensiamo alla Guggenheim) mentre dall’altro ecco un mercato guidato dal ritorno economico di quello che è l’investimento verso l’opera e l’artista. Il mecenate, però, resta necessario perché senza di lui non ci sarebbe il processo creativo libero, affrancato dal giogo “alimentare” che chi crea subisce.

Senza un mecenate di alta formazione, intelligenza e lungimiranza e che sia in grado di scommettere nell’arte (qualunque disciplina questa sia) avremmo un panorama artistico ben diverso. L’investimento del mecenate è però un lancio della pietra nel buio sapendo di centrare il bersaglio! Al mecenate è ancora oggi demandata una missione, non solo di mero sostegno, come spesso si crede.
Questi, infatti, ha un ruolo che muove per affinare i sensi, la visione, portare tangibilità e presenza nell’invisibilità che ci circonda. Il mecenate è un ascoltatore e un  oratore assieme e l’artista accoglie e mette in pratica. L’ente pubblico da solo non potrebbe farlo: accade ma solo per porzioni. A livello pubblico (e penso a comuni, cantoni, regioni nella vicina Italia, o a livello di governi) spesso non c’è priorità per il sostegno delle discipline artistiche, che sono quasi viste come qualche cosa di marginale o comunque uno sfizio. In Svizzera certamente abbiamo un “Messaggio per la Cultura” rivisto nel 2019 ma la realtà richiede una posizione più completa e complessa.

L’arte è complementare a quello che è la formazione scolastica. Noi possiamo avere una formazione nozionistica, che possiamo incamerare, ma senza l’attitudine al bello, senza la possibilità di rapportarci ed elevarci per comprendere il bello, la nozione resta lettera morta. Le arti non hanno alcuna funzione pratica, ma sono fondamentali perché ci mettono in relazione col mondo e ci permettono di evolvere, far evolvere e di relazionarci con empatia.

Ora, quotidianamente siamo soggetti a frizioni (tutta la nostra vita è fatta di frizioni costanti) ma l’arte ci nutre e ci porta verso un altrove che però ci rende molto più saldi e solidi nel presente. Senza questa coscienza da parte dei mecenati, senza il rendersi conto che promuovere le arti è promuovere la crescita umana, le arti stenterebbero, l’umanità sarebbe più povera moralmente. Il mecenate muove per far crescere il mondo.

E’ utopia fare del mecenatismo oggi?

Tutte le arti, a prescindere dall’arte che vogliamo affrontare, stanno diventando utopiche, essendo superate, per linguaggio, da una velocità data da altro: dalle immagini in primis, sempre meno permanenti, vuote, prive significato, dove il contenuto è diventato “il non-contenuto”. Pensiamo a Instagram e, di contro, alla fotografia su pellicola, che è andata quasi sparendo a favore della fotografa in digitale. C’è da chiedersi cosa ne è e ne sarà del tesoro di immagini personali. Non tanto di quelle immagini che vengono stampate per banche dati o mostre, ma proprio quelle che riguardano la nostra vita. Il rischio -ormai conclamato- è il perdere contenuti ‘di valore’ storico e quindi di memoria. Tutto è salvato su dispositivi tecnologici, che in breve divengono obsoleti oppure si rompono cancellando di fatto il tramandare una memoria.

Il tramandare qualcosa diventa utopia proprio perché non siamo più in grado di farlo, perché abbiamo perso gli oggetti per poterlo fare, perché stiamo perdendo il linguaggio del come fare e di cosa è stato fatto: persino nelle arti. Ecco allora che il mecenate ritorna con chiavi molteplici: come medium per preservare la creazione non solo a titolo meramente conservativo (quindi diretto a qualcosa di preesistente) e per la spinta alla creazione di un nuovo agendo perché possa rimanere.

Pensiamo al tempo che ora viviamo e alla musica contemporanea, l’arte pittorica, talune forme di scultura con nuovi materiali: siamo già in un altrove. Un Damien Hirst che espone uno squalo morto: è una forma d’arte che nessuno avrebbe potuto immaginare fino a qualche tempo fa. Senza gli investimenti di un mecenate, l’artista (in ogni tempo) non avrebbe generato arte e di conseguenza non avremmo avuto neppure il dibattito che ne è seguito.

Il mecenatismo, oggi, può e deve creare un dialogo tra quello che vediamo e quello che recepiamo; sollecitarci ad andare oltre quanto siamo in grado di poter comprendere, porci di fronte alla sfida del confronto e del diverso. L’atto del mecenate non è il produrre fisicamente un prodotto, ma è qualcosa che va oltre, al di là: è il confronto che le persone hanno con l’esperienza artistica, quello che rimane dopo, il come questa esperienza fa crescere. Il compito del mecenate è guidare lo sguardo a non abituarsi, preparandolo per qualche cosa che verrà e che sarà ancora più estremo e più avanti, dopo. Il mecenate, che erroneamente si ritiene una figura statica, crea invece il futuro. Il mecenate è il vento che su un focolare quasi spento ne ravviva le braci. Ora, possiamo fare spegnere il fuoco e adorare le braci morenti come emblema del grande passato, oppure capire che il mecenate è quel fiato che continua ad alimentare il fuoco.

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