Il Mecenatismo guerriero di Ludovico Sforza



di Lorenzo Bellini

(Parte 1) Nell’estate del 1482, Leonardo interrompe la sua permanenza a Firenze, sotto l’egida medicea, per dirigersi, su probabile richiesta dello stesso Lorenzo de’ Medici, verso la ricca e fiorente città di Milano.
A dare adito a questa tesi vi è la tradizionale attenzione con cui il Signore di Firenze curava i rapporti diplomatici con gli altri stati, attraverso gli artisti. Il predominio culturale della città toscana, favorito dal suo coraggioso mecenatismo ed impegno in prima persona, diveniva arma diplomatica per il mantenimento della pace nella Penisola, attraverso l’invio di molti artisti della “scuola fiorentina” presso le varie corti italiane, dagli angioini, alla Curia pontificia, sino all’alleato più fedele, e costoso, ossia lo stato sforzesco. Secondo l’Anonimo Gaddiano il primo incontro tra il reggente, Ludovico Maria Sforza, e il genio di Vinci avvenne grazie alla presentazione di una lira, dono di Lorenzo al signore di Milano. Secondo Giorgio Vasari lo stesso Leonardo sarebbe stato un grande musicista, tanto da aver creato lui stesso lo strumento musicale dalla forma di testa di cavallo, in lega d’argento, che presentò al Moro.

In tale occasione l’artista e scienziato toscano avrebbe scritto la famosa lettera d’impegno, della quale si conserva la bozza originale, in cui Leonardo sottopose all’attenzione del nobile lettore, innanzi tutto, i suoi progetti legati alle numerose campagne militari capeggiate dagli sforzeschi, progetti ingegneristici ed idraulici, finendo per presentare poi il progetto del grande cavallo di bronzo, il vagheggiato monumento equestre dedicato a Francesco Sforza.

Malgrado la missiva l’ attenzione del Moro non venne catturata nei termini sperati dall’artista e così l’accoglienza verso Leonardo si manifestò, al meno in principio, tiepida. Dovrà attendere il 25 aprile dell’anno seguente, infatti, per ricevere la sua prima commissione, redatta da un contratto notarile con la Confraternita dell’Immacolata Concezione. Oggi questo reperto è conservato presso l’Archivio di Stato di Milano, con la particolarità di essere l’unico scritto in cui Leonardo firmò utilizzando la mano destra, o più probabilmente, scrivendo in verso corretto e non opposto come era suo solito fare. Gli venne così commissionata la pala d’altare ad oggi nota come Vergine delle rocce, sul cui conguaglio si scatenò una lunga diatriba giudiziaria tra l’artista e la stessa Confraternita.
D’altro canto, le tribolazioni di Leonardo non finiscono qui. Solo nel 1485 entrò ufficialmente nella cerchia ducale dove, grazie alla sua eclettica natura ed i suoi numerosi interessi, riuscirà a soddisfare le molte richieste: dai progetti sull’ammodernamento dei sistemi di irrigazione, ai numerosi ritratti – notissimi quelli delle “favorite” del Moro – e Madonne, alcune delle quali furono date in dono dal Moro ad altri potenti della sua epoca. Malgrado la mole di lavoro, le fonti riportano lamentele da parte del maestro nei riguardi dei miseri pagamenti del Duca, o per meglio dire del reggente della signoria milanese.

Ludovico stesso, nel frattempo, incaricò il pittore toscano di due progetti fondamentali per il prestigio della sua immagine: il primo, le decorazione del Castello Sforzesco in occasione delle nozze tra Gian Galeazzo Sforza, legittimo duca di Milano, e Isabella d’Aragona, avvenute nel 1490. Il secondo è il cavallo di bronzo, monumento al primo signore di Milano appartenente alla dinastia sforzesca. Inutile dilungarsi sulle problematiche legate ad una simile scultura. Il materiale e la mole imposero minuziosi studi al suo progettista, interrotti dalle difficoltà economiche in cui vessavano le casse del tesoro milanesi, in conseguenza della discesa francese di Carlo VIII alla conquista del trono di Napoli nel 1493, che sconvolse gli equilibri italiani.

Negli stessi anni Leonardo prosegue le proprie ricerche legate all’urbanistica, all’architettura e all’anatomia. Quest’ultima in particolare porterà alla sua celeberrima opera, l’Uomo vitruviano. Nel 1494 il nostro artista stipulò un contratto con il convento di Santa Maria delle Grazie per le decorazioni del suo refettorio. Leonardo non amava la tecnica dell’affresco, vista la rapidità con cui il colore si asciugava sulle pareti e la sua naturale propensione per lunghi studi e lente elaborazioni pittoriche a colpi di pennello. Realizzò dunque, sperimentando una tecnica originale, l’Ultima cena per il cenacolo delle grazie, realizzando una mistura di tempera e olio. Riuscì dell’impresa creando un’opera davvero unica in cui si fondeva la ricca tradizione fiorentina, che annoverava numerosi cenacoli, con novità iconografiche, una su tutte: la presenza di Giuda non solitario in un angolo, ma posto a fronte dello spettatore insieme agli altri apostoli. L’Ultima cena venne conclusa nel 1498 e sin da subito dovette subire numerosi interventi di restauro, ad opera del suo stesso autore, vista l’umidità della parete su cui era stata dipinta. Aggravata dalla presenza al di là di essa di un deposito di sale.
Leonardo fu costretto ad interrompere il rapporto con il Moro nel 1499, quando il re di Francia Luigi XII conquistò Milano deponendo l’ultimo della casata Sforza. Da lì iniziò per l’artista un lungo peregrinare tra varie corti e città: Mantova, Venezia sino al ritorno a Firenze.

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