Il MES e l’Italia della discordia

La chiarezza dell’esposizione e l’efficacia comunicativa di Angela Merkel sono note da anni; doti non comuni che, aggiunte alle sue capacità politiche, ne hanno fatto uno dei più importanti leader al mondo. Ne ha dato un’ulteriore prova nella conferenza stampa del 16 aprile scorso, annunciando le decisioni assunte assieme ai governi dei Bundesländer per l’allentamento delle restrizioni per contrastare la pandemia da Coronavirus. Il ringraziamento che la Cancelliera ha rivolto ai governi dei 16 stati federali per avere applicato senza titubanze le decisioni congiuntamente assunte, segna quanto sia fondamentale l’azione univoca nella lotta a un “nemico” che non è vinto, è ancora lì ad agitare le ansie e le paure accresciute dal conteggio giornaliero dei morti. Comunanza di intenti necessaria, ad esempio, sul come rimettere in moto la macchina e ridare una parvenza di certezza al futuro imparando a convivere con il virus.

Tutt’altra storia in Italia, dove la politica ha colto al balzo il dibattito sulla fase due per amplificare le divisioni, in un frastuono di dichiarazioni spesso ovvie ed inutili; nemmeno in questo frangente così grave le forze politiche rinunciano ai rituali consunti, che tra l’altro stanno dilatando la frattura tra il Governo nazionale e le Regioni, tra il Nord e il Sud del paese. Dalle 4 D (distanza, dispositivi, digitalizzazione, diagnosi) della “via lombarda per la libertà” di Attilio Fontana, al “pronti a chiudere i confini della Campania” di Vincenzo De Luca, contrario alla riapertura precoce delle attività, il cittadino è nel bel mezzo dell’eterna commedia all’italiana.

Ma l’apice delle tensioni e dell’immaturità – tra Governo e opposizioni, dentro il Governo e tra le opposizioni stesse – si tocca quando il dibattito si sposta sull’Europa e sul Mes (Mec- canismo Europeo di Stabilità), noto come Fondo salva-Stati. Tensioni spesso palesemente strumentali, tipo l’attribuzione della responsabilità ai Governi che hanno sottoscritto l’adesione dell’Italia al Trattato istitutivo del Mes. Cronologicamente la genesi del Fondo salva-Stati risale alla decisione assunta dall’Eco n il 10 maggio 2010 e successivamente dal Consiglio Europeo del 25 marzo 2011 – per l’Italia dal Governo Berlusconi – di istituire un meccanismo di stabilità finanziaria (European Stability Mechanism) che modifica l’art. 136 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, per contrastare il rischio d’instabilità nei Paesi dell’area Euro a fronte di una gravissima fase di stagnazione dell’economia mondiale e il forte rischio per la sopravvivenza della moneta comune europea.

Il Mes é stato poi ratificato definitivamente alla Camera dei Deputati il 19 luglio 2012 (Governo Monti) ed è entrato in vigore l’8 ottobre 2012, dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale Federale tedesca che spianò la strada alla ratifica da parte del Bundestag. Il Mes come tale ha sostituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), istituiti per affrontare la crisi dei debiti sovrani e l’insolvenza di Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (PIGS, l’acronimo coniato negli ambienti economici inglesi nel 2007).

La crisi drammatica della Grecia – che con il governo Karamanlis aveva falsicato il bilancio dello Stato, nascondendo un buco finanziario alle autorità europee, che si sommava a una serie d’investimenti assolutamente improduttivi – deflagrò rovinosamente nel 2009 con il governo del socialista George Papandreou. Il crollo della Grecia rivelò un cumulo di errori gravissimi: benestanti che non pagavano le tasse e non volevano rinunciare ai propri privilegi, una fascia di impiego pubblico che non accettava la ne di un mondo crollato, le classi deboli che non avevano di che vivere perché era scomparso il paracadute dello stato sociale, l’Ue intervenuta – con ritardo – non tanto per la preoccupazione della sorte dei cittadini quanto piuttosto per paura dell’effetto domino della crisi greca sull’euro e sull’economia mondiale.

La crisi mise a nudo i problemi dell’Europa sulla domanda di più democrazia nel processo decisionale e sul ruolo “dell’Europa tedesca”, come l’aveva definita Ulrich Beck, un osservatore attento e molto ascoltato, nel titolo di un suo libro (Das deutsche Europa). La Germania fece dipendere il suo aiuto alla Grecia da condizioni che inficiavano l’autodeterminazione del popolo greco, tanto da far dire a Beck “possono alcune democrazie decidere su altre democrazie?” Da quella storia, dalla socializzazione delle perdite accumulate dalle banche e la privatizzazione dei rischi, derivarono ovunque in Europa rabbia, proteste, fatalismo e paure. Ma anche riflessioni profonde sul suo futuro, sulla necessità di nuove forme della politica, cioè la trasformazione degli ordinamenti statuali nazionali per allargare il perimetro della democrazia in un’Europa capace di rimettere al centro valori come “equità”, “solidarietà” e stop allo “sfruttamento”. L’Italia, colpita così duramente dall’epidemia del coronavirus, oltre a dare risposta alle necessità impellenti dei cittadini e del sistema produttivo, s’interroga sul quadro economico che si sta presentando: disoccupazione, strutture sanitarie messe a dura prova (grandissima la risposta data dalle risorse umane), il crollo del PIL a meno 10 per cento, il malessere sociale. Tutti i paesi europei stanno correndo al capezzale dell’economia ferita, ma molti di essi sono in una condizione migliore di quella italiana, ad esempio sul fronte del debito pubblico.

Non ha senso, dunque, litigare, come stanno facendo maggioranza e opposizione, e rigettare l’accordo raggiunto dall’Eurogruppo il 9 aprile scorso; significherebbe rinunciare a risorse economiche importantissime, anche se – per ora – non in forma di eurobond, il cavallo di battaglia del premier Conte. In buona sostanza, l’Eurogruppo – superando molte difficoltà – ha raggiunto l’intesa su tre differenti provvedimenti: 1) il SURE (Support to mitigate Unemployment Risk in an Emergency), uno strumento a sostegno di chi ha perso il lavoro a causa del Covid-19, con dotazione no a 100 miliardi di euro. 2) il piano da 200 miliardi della BEI (Banca Europea Investimenti) a sostegno delle piccole e medie imprese per la ripartenza dell’economia europea. 3) l’attivazione senza condizionalità del Mes, per interventi a sostegno esclusivo dei costi diretti e indiretti nel settore della sanità nella cura e prevenzione del Covid-19. Sono circa 240 miliardi a disposizione degli Stati membri, l’Italia potrebbe ottenere no a 38 miliardi di euro. Sommando le succitate risorse a quelle già attivate dalla Banca Centrale Europea e soprattutto al Recovery plan – un fondo da 1.550 miliardi che sarà discusso nella riunione del Consiglio d’Europa del 23 aprile – si capisce che l’Europa trovatasi al bivio della sua esistenza ha deciso d’imboccare la strada giusta. L’Italia ha mostrato con il Ministro Roberto Gualtieri di saper toccare i tasti giusti, altro che Caporetto.

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