Il nucleare è verde?

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN

Non si esaurisce il dibattito sull’improvviso rincaro del gas degli ultimi mesi, né si esaurirà presto. Da una parte c’è un effettivo spostamento degli investimenti nelle energie rinnovabili, dall’altro c’è una partita geopolitica serratissima a più livelli, di cui il primo è fra la Russia e l’Europa e il secondo è interno all’Europa stessa, fra gli stati che devono decidere quanto sono disposti a cedere in termini di controllo in cambio di stabilità energetica – è vero anche il contrario, perché se l’Europa ha un unico fornitore di gas, la Russia ha un unico cliente. Il recente battibecco sul Nord Stream 2 è la prova più lampante: quando la Germania ritarda la messa in opera dell’infrastruttura, la ritorsione della Russia è diminuire le forniture e gli Europei litigano su di chi è la colpa.

Questo ci conduce al problema di fondo: l’Europa, e la Svizzera che ne fa parte almeno territorialmente, possiede all’interno dei suoi confini scarse fonti energetiche. E adesso che si sta spostando decisamente sulle rinnovabili, il vecchio continente è ancora più esposto alla volatilità energetica, perché chi lascia la via vecchia, anche se molto inquinante, per quella nuova, anche se molto pulita – beh, sapete come finisce.

Ed è per questo che si è aperto un nuovo fronte, cioè la definizione di cosa sia classificabile come “energia pulita”. Non ci sono dubbi su quelle più ovvie, come l’eolico o il solare, che appartengono anche al gruppo delle “rinnovabili”, ma che fare con le energie tradizionali meno inquinanti, seppur non rinnovabili? Parliamo del gas e del nucleare.

Dieci paesi dell’Unione Europea, capitanati dalla Francia, hanno fatto un appello alla Commissione di Ursula von der Leyen, perché il nucleare sia incluso nell’insieme di fonti energetiche considerate “pulite”. Insieme alla Francia c’è l’Olanda e un blocco di paesi dell’Est che stanno investendo con una prospettiva di lungo periodo nell’atomo. L’argomento di fondo è che l’energia nucleare non ha emissioni nocive, e che l’attuale crisi energetica e il recente aumento del prezzo del gas naturale dimostrano che non si può fare a meno di un’energia abbondante e ben pianificabile come il nucleare – il sole e il vento, dicevamo in un altro articolo, non li possiamo prevedere, la fusione dell’atomo sì. E questo protegge dalla volatilità dei prezzi e aiuta l’indipendenza energetica dell’Europa.

A resistere a questa visione c’era un gruppo di paesi guidati dalla Germania che insistono sui problemi dello smaltimento delle scorie radioattive e sui rischi nel caso di incidenti come quello di Fukushima, che convinse improvvisamente Angela Merkel a dichiarare l’abbandono del nucleare. A fronte di questo, infatti la Germania ha investito moltissimo sul gas, con la realizzazione del gasdotto Nord Stream. E infatti, nella partita della denominazione “pulita” questi paesi volevano che fosse inserito il gas, che di rinnovabile ha ancora meno che il nucleare.

Il vero motivo dello scontro sulla classificazione di cosa è energia “verde” è importante perché le attività economiche considerate “sostenibili” ricevono finanziamenti statali e investimenti europei speciali. Il timore di tutti i paesi era quello di perdere risorse nel caso di una classificazione “rigida” su nucleare e gas, e perciò facevamo lobbying sulla Commissione europea. I paesi che la spuntano hanno un improvviso vantaggio competitivo vedendosi attribuita l’etichetta di “energia pulita” e i conseguenti ingenti fondi europei.

Come è andata a finire? Nella maniera più realistica, anzi più Realpolitik: la Commissione europea ha dichiarato che entrambe le energie, il nucleare e il gas, saranno incluse nella tassonomia di energie verdi e sta preparando un documento da fornire agli investitori per chiarire la definizione comune di cosa è verde e di cosa non lo è. Si conferma quindi quello che si era capito già in ottobre, quando la presidente Ursula von der Leyen aveva detto che l’Europa ha bisogno di più energie «più economiche, carbon-free e locali», appunto il nucleare e il gas.

La Svizzera, che non ha voce in capitolo nella strategia europea, ma che da essa dipende per la fornitura di una parte dei suoi consumi, ha una strategia attendista: sul nostro territorio ci sono ancora tre centrali nucleari funzionanti, che nel 2020 hanno fornito la rispettabile cifra di 23 GW. Questi impianti non sono stati smessi, come ha fatto la Germania, ma si è deciso di portarli alla fine del loro ciclo vitale, previsto per il 2034, e di non costruirne altri, mettendo così fine al nucleare svizzero entro quella data in maniera quasi naturale. Un esempio di grande pragmatismo elvetico.

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